Di nuovo, sull’Ilva, uno scontro sulla Giustizia

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L’attuale conflitto tra la magistratura di Taranto, nella persona del giudice per le indagini preliminari Todisco, che ha ordinato all’Ilva di bonificare la fabbrica per poter ripartire con le lavorazioni dell’acciaio e il governo Monti che considera un simile provvedimento spettante all’esecutivo e non ai giudici, rischia di segnare un altro punto morto e di non svolta nel grave affare di quella  crisi industriale e non essere risolto se non con un urgente intervento legislativo dell’esecutivo che chieda subito al parlamento, quando riaprirà agli inizi di settembre la necessaria approvazione.Non c’è altra soluzione ed è significativo che soltanto  un  quotidiano – La Repubblica – lo abbia invocato ieri, mentre né i numerosi  telegiornali, né tutti gli altri quotidiani, hanno sentito il bisogno di suggerire una soluzione costituzionalmente accettabile.

Ma a questa situazione siamo ormai abituati e non è il caso di parlarne ancora.

Quel che colpisce l’osservatore, straniero quanto italiano, è il riprodursi all’infinito delle caratteristiche fondamentali che intervengono negli affari industriali italiani. Alla domanda inevitabile: perché per tanto tempo non si è provveduto all’indispensabile bonifica della fabbrica? La risposta è scontata.

Perchè bonificare costa troppo (o comunque molto) e l’Ilva, con la precedente direzione aziendale, è riuscita ad  andare avanti risparmiando danaro pagando mazzette e contribuendo quindi a truccare le perizie.

Ma come è possibile che, a vent’anni dalla mitica inchiesta di Milano “Mani pulite”, i metodi siano rimasti eguali a quelli che c’erano vent’anni fa e le classi dirigenti e politiche di questo paese non abbiano fatto nulla per modificarli, al contrario li abbiano mantenuti così come erano e, forse, addirittura peggiorati?

A un simile interrogativo che riemerge, di fronte allo sguardo del cronista di politica come del commentatore, è difficile suggerire una risposta non retorica né convenzionale e neppure troppo generica.

Innanzi tutto occorre sottolineare il fatto che in questo paese non esiste un’informazione che faccia davvero il cane da guardia del sistema politico, come dovrebbe avvenire in uno Stato democratico degno di questo nome.

In secondo luogo, una simile situazione fa pensare al fatto che il sistema di istruzione del nostro Paese non funzioni in maniera adeguata e non trasmetta ai suoi percettori una visione del mondo e della società, che si leghi ai principi fondamentali della costituzione repubblicana.

La Carta del 1948  prevede il rispetto delle leggi e la dignità ed onestà conseguenti dei suoi rappresentanti e funzionari.

Se tutto  questo si realizzasse, non ci sarebbero mazzette e trucchi come quelli a cui assistiamo nel caso dell’Ilva, come in tutti i casi recenti che sono apparsi nella cronaca giornalistica dell’ultimo ventennio, come del precedente.

C’è un altro punto da aggiungere a questa sommaria diagnosi della crisi italiana.

E’ possibile che, di continuo, magistrati e politici debbano confliggere in un paese che pure ha una delle costituzioni più avanzate di Europa e che i legislatori siano sempre così pigri e tardivi?

Perchè non ci si rende conto che il sistema funziona male e da troppo tempo?

Non possiamo chiederlo a una informazione che da tempo è malata e a un parlamento che sta ormai  per finire il suo mandato.

Lo chiediamo per ora  ai lettori che vivono nel nostro paese o lo amano come noi.

 


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