L’omicidio del blogger Piccolino e i tanti silenzi, complicità, connivenze quotidiane

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Il 29 maggio scorso un colpo di pistola ha assassinato l’avvocato Mario Piccolino, voce di fortissime e documentate denunce contro i Casalesi a Formia. E’ un film purtroppo già visto e sentito innumerevoli volte in questi decenni. In questi giorni Mario Piccolino, dopo tanti anni di attivismo e denunce, ha conquistato le prime pagine dei giornali e i primi titoli dei telegiornali. Subito dopo l’assassinio, perché (come già successo tantissime volte in passato) il suo nome sta già scendendo in secondo, terzo, quarto piano. Nelle ore immediatamente successive subito la camorra è stata indicata come colpevole del suo omicidio, dalla fiaccolata per le strade di Formia ai grandi mass media.

Ma in passato non sempre è stato così. Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Pippo Fava, don Peppino Diana (giusto per ricordarne tra i più conosciuti), mentre chi li aveva conosciuti e aveva vissuto con loro l’attivismo e la militanza lottava per la verità, furono colpiti da insinuazioni offensive. Insinuazioni che avevano un solo soggetto che ne traeva vantaggio (chi li ha assassinati) ma tantissimi autori, complici, megafoni. La denigrazione di Pippo Fava e don Peppino Diana avvenne da parte della “gente bene”, da chi ha voce e risonanza nella società, considerata autorevole e importante. Mi è capitato di ripensare a quest’aspetto mentre ascoltavo un servizio televisivo sull’assassinio di Mario Piccolino equivocando una frase.

Senza il consenso anche la mafia svanirà. Ma per spazzare via quel consenso, per spezzare le catene dell’oppressione e dell’inquinamento mafioso, la sfida più insidiosa, e più difficile, sta proprio lì. In coloro che Dé Andre definiva “materassi di piume”, nel ventre molle di una società dove troppo facile diventa l’insinuarsi dell’omertà, dei silenzi, delle paure più o meno interessate. Credere che don Peppino Diana o Pippo Fava siano stati uccisi per tradimenti e per fatti sentimentali (ancor di più in una società troppo spesso imbevuta di perbenismo e moralismo a buon mercato) è rassicurante, è troppo facile. Perché non costringe a fare i conti con la realtà, ad affrontarla, a rendersi conto del mondo in cui viviamo.

Le mafie esistono, ma altrove. E’ possibile impegnarsi, ma lo possono fare tanti altri. Tra bianco e nero c’è sempre tanta gente, cantano da alcuni anni i Nomadi. E da questa zona grigia, da chi non si schiera e s’impegna solo nel passare oltre, nel non interessarsi, nella tranquillità borghese delle finestre chiuse dei mille funerali delle tante Cinisi, partono i frutti più velenosi e insidiosi. Non ci sono solo le mafie e l’autentica antimafia. Non sono solo i mafiosi, e i loro diretti complici, conniventi, alleati. Ci sono silenzi, paure di comodo, omertà, comportamenti quotidiani che alimentano la mafiosità probabilmente anche di più.

Basta girare per le nostre città, camminare per strada, entrare in un bar o dal barbiere, aprire un giornale. E sentiremo, leggeremo, giudizi durissimi sui Rom, su campi da chiudere e chiavi di galere da gettare via. Odio verso i Rom a prescindere, vere e proprie campagne alimentate da propositi e proposte più che bellicose. Contro qualsiasi mendicante, contro chiunque viva a pochi (o tanti) passi da casa nostra, anche se è un grandissimo e onestissimo lavoratore, porta avanti una famiglia o s’impegna nel sociale e nel volontariato con un comportamento da cittadino esemplare e modello. Ma, al posto di utilizzare termini generici e spersonalizzate, nomi non se ne sentono e leggono. Perché non sono “i Rom” (come stessimo parlando di un’entità astratta) a commettere crimini, ad alimentare le mafie e a farne parte. I nomi delle famigli e di chi viene arrestato, e a volte anche condannato (che siano i Ciarelli a Pescara o i Casamonica a Roma) è conosciuto ed è ben preciso. Tanto è vero che gli si chiedono voti, favori, ci si trova a cena con loro. Ma com’è, son tutti criminali e chi è accusato realmente di esserlo diventa amico? Come definire tutto questo se non ipocrisia interessata e complicità di fatto? Son comportamenti che, alla fine della fiera, non fanno altro che favorire mafie e potentati criminali.

Tacere e sottacere per anni su inchieste, corruzioni, clientele, favori per trasformare, una volta che tutto è emerso, una realtà come Mafia Capitale in un derby tra indagati politici, far credere che tutti coloro che operano coi migranti siano potenziali ladri, nascondere e ignorare per anni le denunce delle organizzazioni antirazziste e realmente solidali per poi costruire contro di loro castelli di fango, fermarsi sempre e soltanto ad alcuni nomi tacendo i “più pesanti”, non è certo frutto di una reale indignazione, voglia d’impegno e di denuncia. Lirio Abbate da anni denuncia gli intrecci tra Banda della Magliana, esponenti neofascisti, politica e mafie nella Capitale. In varie inchieste ha ricostruito le trame, fatto i nomi dei nuovi “4 Re di Roma” (identificati già nel dicembre 2012 su l’Espresso in Carminati, Senese, Casamonica e Fasciani). Scoppia Mafia Capitale, tutti parlano, cianciano, hanno da dire e ridire e alla fine, in diretta televisiva, nel momento in cui Abbate interviene c’è chi tenta di non farlo parlare con un comportamento a dir poco ostile e deligittimante.

Rimanere dietro le tendine chiuse delle proprie rassicuranti case, mantenere le mani pulite nelle tasche parafrasando don Lorenzo Milani, accontentarsi di un’indignazione di maniera all’insegna del “fa tutto schifo”, “chi comanda fa legge”, “tanto non cambierà mai nulla” è facile, facilissimo. Diventa pure comodo quando bisogna chiedere un “favore”, bussare ad una porta, perseguire interessi personali tramite facili scorciatoie clientelari. Ma le mafie non si combattono da sole, e chi s’impegna non è pazzo e neanche votato al martirio. E’ un cittadino come tutti, è una persona con una coscienza e un cuore. Come tutti al momento della nascita. Disinteressarsi, girare la testa dall’altra parte, non schierarsi trincerandosi dietro fatalismo e qualunquismo d’accatto, non fa altro che favorire le mafie, le corruttele, i potentati, le piovre che avvelenano la società civile. Sono silenzi, omissioni, complicità, connivenze di fatto che ne sono i migliori alleati.

Nei mesi scorsi i gruppi parlamentari del Movimento5Stelle, l’europarlamentare Eleonora Forenza di Rifondazione Comunista/L’Altra Europa con Tsipras e Il Fatto Quotidiano hanno acceso i riflettori sulla composizione della Commissione VIA(Valutazione d’Impatto Ambientale) nazionale, incaricata di decidere su migliaia di progetti in tutta Italia tra cui perforazioni petrolifere, industrie pesanti, infrastrutture varie e autostradali, TAV, Expò e tantissimo altro. Secondo quanto hanno denunciato nella commissione VIA nazionale ci sarebbero stati fortissimi conflitti d’interessi, una tessera P2 e addirittura un membro definito nel 2008 dalla Prefettura di Reggio Calabria asservito (testualmente) ad una cosca ‘ndranghetista. Quante voci “permanente indignate” si sono indignate e hanno raccolto la denuncia?!


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