Giornalismo sotto attacco in Italia

Emergenza Lega

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Dopo la convocazione dell’ambasciatrice italiana a Parigi, in seguito all’invito ad “attaccarsi al tram” rivolto da Salvini a Macron, si spre un problema che Meloni non potrà continuare a ignorare ancora a lungo. Questo problema si chiama Lega. Ora, chiunque non sia nato ieri e conosca un minimo le vicende della politica, sa che Salvini e Meloni si detestano, che stanno insieme solo per necessità e che la Presidente del Consiglio, e buona parte del suo partito, come si evince anche dalle chat svelate di recente da Giacomo Salvini nel suo libro, abbia di lui una considerazione non propriamente lusinghiera, per usare un eufemismo. Il problema è che le esigenze di coesione della destra non può pagarle l’Italia, meno che mai in termini di credibilità internazionale. L’uscita del vice-presidente del Consiglio, a pensarci bene, fa il paio con la trovata di Di Maio di andare a rendere omaggio ai gilet gialli, nei mesi in cui la Francia era attraversata da proteste violentissime prossime alla sommossa. Intendiamoci: Macron non mi è mai piaciuto, non nutro verso di lui alcuna stima politica e mi ha sempre dato l’impressione di incarnare la quintessenza del tecnocrate, il cui disprezzo per la politica è proverbiale e francamente insopportabile. Per quanto riguarda il tema della guerra in Ucraina e delle eventuali truppe da dislocare sul terreno, poi, non solo ha torto ma la sua posizione è anche pericolosa, insostenibile e fuori dalla realtà. Ciò premesso, un conto è essere un giornalista ed esprimere le proprie idee su un sito o su una qualunque testata, per quanto autorevole, un conto è avere un ruolo politico di quel prestigio e lasciarsi andare a commenti da osteria. Matteo Salvini, ogni tanto, dovrebbe ricordarsi di non essere un passante e di non potersi comportare come tale. E lo stesso vale per il generale Vannacci che inneggia alla X MAS, ossia a una delle più grandi vergogne della nostra storia, per il ministro Valditara, che parlò di utilità dell’umiliazione nei confronti di ragazze e ragazzi, e per il gruppo dirigente del Carroccio nel suo insieme. Non che ci aspettassimo granché da una compagine il cui fondatore esortava, a suo tempo, a utilizzare il Tricolore come carta igienica, compiendo il reato di vilipendio alla bandiera, ma quando si ricoprono ruoli istituzionali, per giunta da quasi trent’anni, la postura non può essere quella dell’avventore al bar di Casalpusterlengo che spara a dritta e a manca contro coloro che gli stanno antipatici. Capiamo che quello sia l’elettorato cui i nostri eroi si rivolgono, capiamo che questa sia l’era dei social, tanto avversati da Valditara quando si tratta di studenti e studentesse quanto amati dal suo capo quando si tratta di rinverdire i fasti della “Bestia”, capiamo tutto, ma non possiamo accettare che le profonde frustrazioni di una compagine che ormai rappresenta meno del dieci per cento dell’elettorato trascini l’intero Paese nel baratro del discredito e dell’inaffidabilità.
Cara Meloni, lei è responsabile anche di ciò che dicono e fanno i suoi ministri, avendoli scelti con precisi criteri e non certo per caso. Nel momento in cui la Francia sente il bisogno di giungere a un atto così duro per rivendicare la propria onorabilità, la sua figura di statista ne esce piuttosto ammaccata, nonostante i tanti sforzi compiuti per lasciarsi, almeno formalmente, alle spalle il passato neo-fascista del suo partito e accreditarsi come novella Thatcher. Il punto è che è sempre vero l’antico adagio: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”.

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