Giornalismo sotto attacco in Italia

Bruxelles e il terrorismo internazionale. Bisogna capire quali sono i buchi nella nostra sicurezza

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Gli attentati avvenuti ieri a Bruxelles richiedono subito dopo analisi che ci consentano di fare qualche passo avanti e chiariscano a chi deve prendere decisioni importanti sul che fare una linea chiara ed efficace.  Da questo punto di vista, la diagnosi non è particolarmente difficile ed è emerso anche nei commenti fatti a caldo nella giornata in cui si sono dispiegate le imprese terroristiche (i morti alla fine sono stati trentuno ma i feriti- come avviene sempre in questi casi- sono stati più di duecento) nelle piazze centrali della capitale europea,  nelle stazioni della metropolitana (Malenbeck) e dell’aeroporto (Zaventen).

Una cosa è stata subito chiara e gli analisi hanno dovuto ripeterla fino alla noia. “L’attentato a Bruxelles per certi aspetti è peggio di quello di Parigi – ha detto Gabriele Iacovino, coordinatore degli analisi del Centro Studi Internazionali(CESI) – Dimostra quanto sia capace la rete dello Stato Islamico in Europa. E’ una minaccia  evoluta, è la dimostrazione di forza di una rete europea che, in barba a tutti i controlli e a tutte le indagini, riescono a organizzare un attentato nel cuore dell’Europa e nel punto più presidiato di tutti: l’aeroporto. Anche in Italia siamo molto deboli su alcune come le forze di intervento rapido ma forti su altre, come il controllo del territorio e il coordinamento della intelligence.  Sul momento in cui è stato attuato, Iacovino ha detto che si tratta-come si può essere sicuri per le dimensioni e la portata-di un attentato organizzato da tempo ma la tempistica dell’esecuzione dopo l’arresto di Salah Abdeslam  anche forse perché di fatto i terroristi hanno avuto il timore che potesse dare informazioni su questo attentato o di chi lo stava per compiere. E quindi bruciare tutta la preparazione che questo ultimo attentato aveva richiesto. L’obbiettivo è quello di destabilizzare e minare il nostro senso di sicurezza…

Ci vogliono conoscenze tecniche, una sorta di expertise, dall’altra capacità di movimento e di costruzione di una rete per creare un attacco di questo genere perché stia mo di nuovo parlando di un attacco congiunto in vari posti anche lontani tra loro. E quindi cellule coordinate con persone operative, logistica, comunicazione e ospitalità e bisogna anche nascondersi come ha dimostrato la vicenda di Salah . Peraltro il punto fondamentale è la non comunicazione tra i diversi apparati di intelligence. Dall’11 settembre la Cia e l’FBI non si sono mai parlati e sono apparati entrambi degli Stati Uniti si ha la prova di una simile debolezza. Rispetto ad Al Qaeda è cambiato il messaggio più patinato e potente del Califfato, di Daesh e dello Stato islamico. Il  messaggio di radicalizzazione di Al Qaeda non era così forte. E quella di Bin Laden era un’agenzai di servizi che finanziava e supportava, preparava.  Lo Stato islamico lavora anche sull’identità e sull’appartenenza ed è molto accogliente per quelli che si sentono fuori della società europea e vogliono battersi nella guerra santa… E’ vero che oggi siamo più esposti per l’impegno politico e militare che abbiamo in Libia. Oggi il pericolo arriva dai Balcani e dalla radicalizzazione che c’è in quella parte del mondo. E lì c’è anche l’organizzazione criminale e il mercato delle armi. E’ come se fosse la nostra banlieue separata da un mare che ci divide però se prendiamo un traghetto ad Ancora per andare a Spalato non ci controlla nessuno. Bisogna capire quali sono i buchi nella nostra sicurezza e prepararci a maggiori controlli.” Questo è certo perché l’IS continuerà la sua guerra e l’Italia(e lo stato del Vaticano) prima o poi diventeranno un altro dei suoi obbiettivi.  Lo abbiamo capito questo a tutti i livelli o non ancora? Questo oggi mi pare la domanda più importante che dobbiamo farci.


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