Somalia: torna al potere Damud Jadid

0 0

Come e perché Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo, sia arrivato secondo su 39 candidati nella corsa per la poltrona di Presidente della Repubblica Federale di Somalia, finendo col restituire, lo scorso 23 maggio, ad Hassan Sheikh Mohamud la carica che da lui stesso aveva ricevuto il 16 febbraio 2017, rimane un mistero per molti.

Si è tentato di trovare una risposta nella cabala dei numeri: 329 grandi elettori; 15.05.2022 o 2022.05.15, la data delle elezioni svoltesi in un hangar dell’aeroporto di Mogadiscio e sotto il coprifuoco per motivi di sicurezza; 2012-2017, cioè 5, invece dei regolamentari 4, gli anni della precedenza presidenza di Mohamud; 2017-2022, ancora una volta 5 e non 4, gli anni di presidenza di Farmajo… ma niente.

L'ex Presidente della Repubblica Federale di Somalia Mohamed Abdullahi Mohamed detto Farmajo

L’ex Presidente della Repubblica Federale di Somalia Mohamed Abdullahi Mohamed detto Farmajo

Eppure, Farmajo partiva favorito dal consenso della popolazione che ha sempre molto apprezzato la puntualità con la quale ha pagato gli stipendi ai dipendenti pubblici, addirittura anticipando ad aprile lo stipendio di maggio e lasciando fondi sufficienti per i prossimi tre mesi, laddove Mohamud aveva lasciato nel 2017 le casse vuote e stipendi arretrati di un anno. Molto apprezzati sono stati anche i lavori pubblici con i quali Farmajo ha arricchito la capitale Mogadiscio, potendosi permettere di accompagnare il nuovo eletto Mohamud in visita alla sede presidenziale di Villa Somalia profondamente rimodernata rispetto al 2017. Ma il consenso popolare è inutile nelle elezioni somale, dato che non avvengono a suffragio universale, bensì passano, dapprima, dalla designazione, da parte dei saggi dei vari clan, dei delegati che eleggono a loro volta i deputati e i senatori delle due camere (bassa e alta) i quali, riuniti in seduta comune, procedono a progressive selezioni per scegliere infine il Presidente.

Forse la strada migliore per comprendere quanto accaduto a Farmajo consiste nell’affidarsi al metodo investigativo del Giudice italiano Falcone: follow the money e, più in dettaglio, seguire l’itinerario dei fondi che a Mogadiscio, come in tutto il mondo, servono a sostenere una campagna elettorale.

L’applicazione di questo metodo, tuttavia, in Somalia è piuttosto complessa. Innanzi tutto, occorre ricordare la grande influenza che i Paesi del Golfo hanno sulla politica somala e, di certo, Farmajo non ne ha conquistato la fiducia quando, dopo l’embargo che il 5 giugno 2017 venne imposto al Qatar da Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Egitto, Farmajo fece assumere alla Somalia una posizione formalmente neutrale, ma di fatto a sostegno del Qatar. Dal Qatar, quindi, più che dai Paesi del Golfo avrebbe dovuto arrivare un sostegno per la rielezione di Farmajo, ma sembra che i fondi non siano arrivati o, quanto meno, non sono arrivati in tempo utile a rassicurare tutti i grandi elettori che avrebbero dovuto sostenerlo. Nondimeno, una folta schiera di 110 parlamentari lo ha votato per pura convinzione.

La mancanza di fondi ha comportato che alcuni sostenitori hanno voltato le spalle a Farmajo e hanno votato per Mohamud, mentre i parlamentari che gli hanno dato una fiducia disinteressata, devono oggi impegnarsi la camicia per fronteggiare gli ingenti debiti contratti per la loro personale nomina e per la prolungata permanenza a Mogadiscio. L’elezione del Presidente della Repubblica Federale, infatti, non è un percorso rapido e poco costoso, ma si sviluppa attraverso una serie di votazioni che, all’inizio, prende le mosse dai territori di provenienza per assicurarsi il seggio di parlamentare e diventare un grande elettore. Ciò implica, innanzi tutto, aver ottenuto la maggioranza di 51 delegati scelti dai Saggi clanici. Una volta conquistata la carica di parlamentare, la partita si sposta a Mogadiscio e coinvolge tutti i candidati alla presidenza per una prima votazione generale. Quindi, la gara si restringe ai primi quattro prescelti e, infine, si giunge al ballottaggio tra i primi due votati. Il tutto, durante un arco temporale non indifferente costellato di pranzi, cene, aperitivi e quant’altro possa allietare i convivi necessari a coinvolgere verso un preciso candidato il maggior numero possibile di grandi elettori.

Hassan Sheikh Mohamud neo Presidente della Repubblica Federale di Somalia

Hassan Sheikh Mohamud neo Presidente della Repubblica Federale di Somalia

È stato al momento decisivo del ballottaggio che il supporto economico per i sostenitori di Farmajo è mancato e, secondo i maligni, la defaillance sarebbe imputabile ad un king maker, già funzionario dei servizi segreti e collegato al Qatar che, essendosi visto sottratto da giochi di potere il seggio parlamentare che aveva conquistato, avrebbe dirottato il sostegno destinato a Farmajo, dapprima, verso il suo ex Primo Ministro Hassan Ali Khayre e, dopo la sconfitta di quest’ultimo al secondo scrutinio, a favore di Hassan Sheikh Mohamud, provvedendo poco dopo a riparare in Turchia perché privo dell’immunità parlamentare.

Sia come sia, non sembra che Farmajo si sia strappato i capelli per la perdita della prima poltrona somala: ha signorilmente ammesso la sconfitta e non si è sottratto alle cerimonie per favorire l’insediamento del nuovo titolare. Un comportamento pacifico e leale ai principi democratici dell’alternanza non scontati da parte sua. Si ricorda, in proposito, che alla scadenza naturale del suo quadriennio l’8 febbraio 2021, Farmajo aveva sollecitato i parlamentari a lui fedeli, sebbene ormai decaduti, a votare una proroga biennale di tutte le cariche istituzionali suscitando, così, l’aspra riprovazione nella comunità internazionale mentre, all’interno di Mogadiscio, si era sfiorata la ripresa della guerra civile con l’ingresso di due opposte milizie armate fino ai denti nelle piazze della capitale.

Del resto, Farmajo non ha mai assecondato quella comunità internazionale da cui dipende, praticamente, l’intera sopravvivenza delle istituzioni somale. Era stato lo stesso Farmajo che aveva allontanato, inopinatamente e senza alcuno scrupolo, Nicholas Haysom, il rappresentante dell’ONU per la Somalia. Ancora, Farmajo aveva stretto rapporti sempre più intensi con la nuova versione – quella aggressiva verso i tigrini – di Abiye Ahmed e con quel presidente eritreo Isaias Afewerki che ha poi votato a favore della Russia nella seduta dell’ONU contro l’aggressione dell’Ucraina. Sempre Farmajo aveva ritirato l’ambasciatore dal Kenya, altro Paese che è di grande supporto per la Somalia: basti pensare a Dadaab, il più grande campo profughi del mondo, che ospita circa mezzo milione di somali. Inoltre, a Nairobi risiedono tutte le grandi organizzazioni internazionali dedite alla Somalia, come pure a Nairobi si sviluppano le più importanti relazioni diplomatiche dell’Italia con la Somalia. Oltre alla diplomazia, anche l’economia era rimasta colpita dalla scelta di Farmajo perché, contemporaneamente al ritiro dell’Ambasciatore, era stato interrotto col Kenya il commercio del khat, l’erba psicotropa ed eccitante, molto redditizia per la sua diffusione nel Corno d’Africa. Si aggiunga l’esito della lunga vertenza presso la Corte Internazionale dell’ONU promossa dalla Somalia, sotto la presidenza di Mohamud, contro il Kenya per la demarcazione dei confini marittimi (e, quindi, per lo sfruttamento dei giacimenti offshore di gas e petrolio) e vinta sotto la presidenza di Farmajo cui dovrà seguire, nuovamente sotto la guida di Mohamud, la fase esecutiva per comprendere le tensioni in questa parte dell’Africa orientale.

Il campo profughi di Dadaab, il più grande del mondo

Il campo profughi di Dadaab, il più grande del mondo

Queste asperità caratteriali non avevano reso insostituibile Farmajo agli occhi dei Paesi sostenitori e, certamente, la maggiore inclinazione al compromesso ed ai commerci ha favorito l’ascesa di Mohamud che, inoltre, è stato anche uno dei fondatori di Damul Jadid, la frangia somala dei Fratelli Musulmani. Oggi, quell’aderenza religiosa di Mohamud sembra tornare utile nell’ambito della politica degli USA già sperimentata nel dialogo con i Talebani. Si ricorda, infatti, che Mike Pompeo si recò in Qatar affinché venisse favorito il dialogo tra Al Shabab e il Governo federale somalo e quella politica estera, evidentemente, non si è modificata sotto la presidenza di Joe Biden.

La Somalia è afflitta dal terrorismo di Al Shabab, l’organizzazione islamica aderente ad Al Qaeda ed ormai fortemente radicatasi nella Somalia centromeridionale. Per estirparla era stata allestita, sin dal 2007, la forza militare internazionale di AMISOM (oggi in procinto di assumere la diversa denominazione di Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia – ATMIS), ma i risultati, a distanza di anni, sono risultati molto deludenti facendo così emergere l’alternativa di una possibile riconciliazione tra governo federale e organizzazione jihadista alla quale appare funzionale un nuovo presidente caratterizzato da forti connotati religiosi. Vedremo se Mohamud saprà mettere a frutto la precedente esperienza presidenziale, la vocazione religiosa, il tratto politico e l’inclinazione commerciale per far crescere l’economia e la sicurezza, virtù senza le quali sarà sempre più difficile, per la Somalia, mantenere un ruolo nella comunità internazionale.

Fonte: Repubblica


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21