“Io vittima di persecuzione social perché sono irriverente quando scrivo di politica”. La testimonianza di Luca Bottura

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Alessio De Giorgi è il creatore della cosiddetta Bestiolina renziana. Assurse a suo tempo agli onori delle cronache perché smentì di gestire una pagina Facebook di “evviva Renzi” e “abbasso gli altri”, ma lo scrisse sulla pagina su cui smentiva di scrivere.

Fino a poco tempo fa, chi osava equiparare la Bestiolina alla Bestia vera, la formidabile macchina da propaganda e fango costruita da Luca Morisi, veniva accusato di eresia. Due giorni fa De Giorgi mi ha additato ai residui fan per un tweet che non aveva compreso, o aveva volutamente travisato, nel quale sosteneva mi riferissi al suo capo. Ieri Morisi si è complimentato con lui per la gogna. Pubblicamente. Del resto fanno lo stesso mestiere, per due Mattei diversi, ma per lungo tempo hanno potuto svolgerlo al riparo dei Ministeri che li avevano assunti. Comprendo possano stimarsi.  Se esistesse una proporzionalità diretta tra i troll di Italia Viva che mi rendono da anni la vita impossibile e i voti, Renzi avrebbe il 113 per cento dei consensi. Ma il punto non sono i bot, gli anonimi, gli account multipli, le chat sulle quali si segnalano i nemici da perseguire, li si appaiano ad altri formando “squadrette” inesistenti da omogenizzare con una grottesca reductio ad hitlerium di ogni diverso parere.

Il punto sono le persone normali che di tanto veleno sono vittime in buonafede. Per dire: tra gli insulti per una battuta non fatta, ne ho ricevuti alcuni anche su Facebook. Non sapendo dove postarli, li hanno scritti sotto un pezzo dell’Espresso in cui tagliavo Rocco Casalino a rondelle. In particolare, una signora mi invitava a vergognarmi per quel che (non) avevo scritto, come da desiderata del De Giorgi e di un altro account catalizzatore di hater: le cosiddette Bimbe di Maria Elena Boschi.

Quella signora non è un bot, non è un fake, non è un follower comprato chissà dove o creato in vitro: esiste. Si è abbeverata a una fonte tossica e credeva realmente di dover abbattere un nemico. Qualcuno le ha insegnato che sono grillino ed è venuta a dirmelo sotto un articolo che sbeffeggiava i Cinque Stelle. Un po’ come quelli che mi danno del Travaglio. Che per carità, per alcuni potrà anche risultare un complimento. Ma insiste sul cognome di un collega che mi ha spesso cremolato di escrementi sulla prima pagina del suo giornale. Ai tempi in cui scrivevo per Repubblica. Ecco, questo è forse l’altro dato. Quello che alla fine mi tocca concretamente. Ho lasciato Repubblica spintaneamente a novembre scorso, mentre Bestie e Bestioline festeggiavano sui social e altrove. Nulla di sconcio: i direttori si avvicendano, le linee editoriali mutano, è del tutto legittimo che si possa cambiare idea su qualcuno cui si era espressa stima. Nella mia carriera ho spesso potuto contare su direttori che apprezzavano i cani sciolti ma mettersi in casa un cane sciolto contempla anche, chiedo venia, rotture di coglioni. Metti che te la faccia nel salotto sbagliato.

Però ho come l’impressione che questo accerchiamento pubblico, questa specie di pedinamento, cominciato tra l’altro da un tweet di Renzi che mi metteva nel mirino, non ultimo tra i politici che non colgono i ruoli (sei un potere: non devi azzannare i contropoteri per le loro opinioni), e proseguito con un quotidiano attenzionamento di quel che scrivo e persino dei like che metto, comporti una specie di marchiatura. Che si stia dicendo ad eventuali committenti: ma perché proprio lui? Che l’obiettivo degli ultrà che ti danno dell’ultrà sia la terra bruciata. Certificazione di inaffidabilità. Residualità. Come i vari commenti degli hater (“Per fortuna che non scrivi più da nessuna parte”, il tormentone) certificano.

Non che la cosa mi spaventi, o spaventi – immagino – coloro che ricevono il medesimo trattamento. Ho l’età in cui accettare le conseguenze del proprio agire diventa salvifico. Persino fonte di orgoglio. E certo, le zero (0) offerte concrete di scrittura che ho ricevuto da quando ho fatto il beau geste possono significare che non sono bravo abbastanza. Però, ecco, pare che qualcuno mi leggesse. O almeno così sembrava, dalle attestazioni di stima che ho ricevuto quando ho preso la porta. E per fortuna in questo periodo ho molte altre fonti di gratificazione professionale. Scintillanti, direi. Però, adesso che mi ritrovo solo a gestirmi le intimidazioni giudiziarie, trasversali, ma la Lega è in prima fila, o quelle social – che alla fine un po’ fanno – il rischio è di pensare che abbiano vinto loro. Specie quando cianciano di battaglie contro l’odio in rete. Che invece aizzano, indirizzano, rendono operativo.

Poco male. Esercito questo mestiere ibridandolo con altro, e l’ho sempre concepito, anche quando permeato dalla satira, come un mezzo per esprimere quel che credo e penso con agio di sberleffo. E, potendo, della leggerezza. Ché ho scritto sciocchezze e ancora ne scriverò, ma sempre con un nitore quasi fanciullesco. Chiedendo sempre scusa per i miei errori.

Non appartenere a nessuno può diventare un limite. Ma è sempre meglio che essere al soldo di qualcuno che ti manda a menare i reprobi, a dar loro una lezione, perché è l’unico modo che conosci di gestire la libertà altrui. Che non capisci, ché è estranea alla tua cultura.

Una lezione che non ho alcuna intenzione di imparare.

#statesereni.

(L’immagine è stata realizzata per Articolo 21 da Alekos Prete)


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