Salvini ad Aversa. Giornalista costretto a cancellare foto

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Fabio Sasso, fotoreporter, si era recato in piazza Municipio ad Aversa con un po’ di anticipo per documentare anche l’organizzazione del fitto sistema di sicurezza con il quale era stata blindata la città per il comizio del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Strade chiuse, zone irraggiungibili anche per i residenti. Foto che non sono piaciute ad una zelante funzionaria di polizia. Gli agenti immediatamente hanno fermato il giornalista, hanno minacciato di arrestarlo, gli hanno intimato di cancellare le foto. Lui non lo avrebbe mai fatto se non avesse visto il volto preoccupato della moglie e le lacrime del figlio. Foto cancellate. Ancora un volta il diritto di cronaca è stato messo sotto i piedi. L’ennesimo episodio preoccupante in cui la tutela dell’ordine viene confusa con la repressione senza senso, con la caccia al giornalista e, quindi, al diritto di informare, all’articolo 21 della Costituzione. Era successo a Genova pochi giorni fa, e in maniera più violenta e grave, quando il collega di Repubblica Stefano Origone, venne preso a manganellate. È una deriva pericolosa che fa piombare il pensiero ad anni bui della nostra storia.

Sono azioni di cui evidentemente il ministro non sa nulla. Ma c’è un atteggiamento irresponsabile nel linguaggio utilizzato da Salvini che, indossando la divisa, inneggia all’ordine a tutti i costi. Il capo del capo della polizia carica i suoi uomini che vuole guidare in una rivoluzione nella sicurezza dei cittadini scritta al bar sport. E i suoi uomini, quelli che ci credono, ricambiano con un pericoloso eccesso di zelo. “Eccesso di zelo”, sono proprio queste le parole che il questore di Caserta ha utilizzato per giustificare l’azione dei suoi uomini contro il fotoreporter ad Aversa e per scusarsi. Ma la toppa è peggiore del buco. L’unico impegno degli uomini della polizia, infatti, dovrebbe essere quello di garantire l’ordine, ma secondo quello che dice, prima di ogni cosa, prima di Salvini sicuramente, la Costituzione della nostra Repubblica. Si obbedisce allo Stato e alle leggi non a un uomo che, tra l’altro, dovrebbe governare il Viminale tra un comizio e l’altro.


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