Denunciano discriminazioni: comitati e associazioni “censurati” da Facebook

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Si ripetono sempre più spesso i casi di pagine o profili bloccati per post di denuncia, ma che vengono ritenuti offensivi o pornografici. Luca Paladini: “Esistono gruppi organizzati che fanno segnalazioni pretestuose a Facebook per bloccarci”. La replica di Facebook: “Abbiamo rimosso il contenuto per errore”. Ma il problema è più complesso

MILANO – Utilizzano Facebook per denunciare atti di razzismo o di discriminazione, per smontare fake news o per smascherare i profili o le pagine che le generano. Ma finiscono per essere loro stessi bloccati, proprio da Facebook. Capita sempre più spesso ad associazioni, comitati, ong e anche a singoli cittadini.
Come ai “Sentinelli” di Milano, all’Anpi di Brescia o a Fabio Sabatini, docente alla Sapienza di Roma: i loro post con una delle foto della donna e del bambino trovati morti nel Mediterraneo, sono stati “censurati” e le loro pagine bloccate. Perché? Il motivo è semplice: sono arrivate a Facebook Italia segnalazioni che il loro contenuto era offensivo da parte di altri utenti oppure perché contenevano un nudo. Contattata da Redattore Sociale, Facebook Italia ammette laconicamente che “abbiamo rimosso il contenuto per errore e lo abbiamo ripristinato. Ci siamo scusati con chi gestisce la Pagina (quella dei Sentinelli, ndr) per l’inconveniente causato“.
Ma bastano le scuse per chiudere la vicenda? No. Perché il problema è molto più complesso. “La nostra impressione è che ci siano gruppi organizzati che fanno questo tipo di lavoro sui social network – sottolinea Luca Paladini, fondatore dei Sentinelli -: prendono di mira le pagine più viste, come la nostra, e le bloccano inviando segnalazioni a Facebook. Sono ovviamente segnalazioni pretestuose, perché i nostri contenuti non sono né offensivi o pornografici né violano la policy del social network. Tra l’altro, non siamo ancora riusciti a capire quante segnalazioni bastino per bloccare un profilo o una pagina”.

“Il paradosso è che se io denuncio con un post la profanazione di una lapide da parte di gruppi fascisti, chi ne è il responsabile può riuscire a far bloccare la nostra pagina proprio segnalando il post a Facebook”, spiega Saverio Ferrari, responsabile dell’Osservatorio democratico sulle nuove destre. “Siamo spesso bersaglio di questi blocchi – aggiunge -. L’aspetto grottesco è che veniamo segnalati, da gruppi o personaggi chiaramente fascisti, per istigazione all’odio razziale perché è una delle motivazioni previste da Facebook. In un altro caso abbiamo pubblicato una foto di un campo di concentramento nazista in cui si vedevano dei corpi di persone morte: bloccati perché il post aveva contenuto pornografico”. Luca Sabatini si è visto “censurare” per due volte il suo post con la foto del bambino naufrago morto. “Dopo pochi minuti che, con tanto di scuse Facebook lo aveva reso visibile di nuovo, è stato nuovamente bloccato. Immagino perché ci siano state nuove segnalazioni”.

I loro contenuti vengono bloccati, mentre decine di falsi profili possono scrivere e far girare qualsiasi nefandezza. Di fronte al ripetersi dei blocchi e delle “censure” dei post, associazioni o singoli non hanno possibilità di tutelarsi. Facebook sembra un gigante inaccessibile e cieco. “I nostri revisori non lavorano in una stanza vuota -sostiene invece Facebook Italia-; vengono applicati dei meccanismi di controllo della qualità, e i manager sono presenti sul posto, in modo che i revisori possano rivolgersi a loro per avere indicazioni. Verifichiamo inoltre l’accuratezza delle decisioni dei revisori su base settimanale. Quando vengono commessi degli errori, seguiamo da vicino le persone del team coinvolte in modo da evitare che si ripetano in futuro. Anche in merito ai nostri controlli di qualità, sappiamo che non sempre riusciamo a risolvere il problema. Ecco perché abbiamo dato alle persone la possibilità di appellarsi alle nostre decisioni quando il loro profilo, la loro pagina o il loro gruppo vengono rimossi”.

Associazioni, ong o comitati vorrebbero però un dialogo più stretto e diretto. “Vogliamo discutere con la dirigenza su possibili soluzioni – aggiunge Luca Paladini -. Bisogna proteggere dal rischio bannerizzazione quelle pagine o profili che svolgono proprio un lavoro di denuncia contro le discriminazioni e il razzismo”. “Facebook mi ha bloccato più volte – aggiunge Sabatini -, perché spesso scrivo post critici verso la Giunta Raggi e ci sono militanti grillini a cui dò fastidio e che mi segnalano. Nel caso però del bambino morto, visto il dilagante negazionismo sul dramma dei profughi, ho deciso di scrivere anche all’Agcom (l’Autorità per le garanzie nelle comunizioni)”. L’Agcom, nel dicembre dell’anno scorso, ha istituito un “tavolo sulla disinformazione online” al quale partecipano, tra gli altri, Google, Facebook, Wikipedia, gruppi editoriali e associazioni di categoria. Il tavolo si è occupato soprattutto dell’informazione e della par condicio durante l’ultima campagna elettorale. “Chi fa squadrismo digitale -continua Sabatini- conosce le debolezze di Facebook e le sfrutta. Per ora sia i singoli che chi gestisce pagine non ha possibilità di tutelarsi. L’obiettivo deve essere quello di aiutare Facebook ad autoregolamentarsi meglio”. “Facebook poi dovrebbe fare in modo che non sia possibile creare profili falsi -aggiunge Luca Paladini-. Magari obbligando a inserire anche il codice fiscale. Altrimenti chiunque può scrivere quello che gli pare senza doversi assumere la responsabilità”. (dp)

Da redattoresociale


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