Giornalisti minacciati. “Un importante pezzo di giustizia”. La battaglia di Enzo Palmesano

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A darne notizia è stata solo Rosa Parchi per “Pignataro Maggiore News”, il sito di informazione che segue la cronaca in uno dei territori più difficili del Paese, la provincia di Caserta. E la notizia questa volta la fa un giornalista, Enzo Palmesano, autore di inchieste sulla camorra del posto e proprio per questo licenziato dal suo giornale, “Il Corriere di Caserta”, in esecuzione di un preciso ordine del capoclan Vincenzo Lubrano. Ora è tutto scritto sulla sentenza della Corte d’Appello di Napoli che ha confermato il verdetto di primo grado a carico di Francesco Cascella, emissario di Lubrano. A 14 anni dai fatti, Enzo Palmesano, da eccellente cronista, commenta la sentenza per quello che è :”Un importante pezzo di giustizia. Ho sempre creduto – dice – nella possibilità che tutta la verità di questa storia venisse finalmente acclarata. E’ stata una battaglia assai dura, lo confesso, perché bisogna calarsi in queste realtà per comprendere in pieno ciò che accade”. Quella di Enzo è stata sì una battaglia combattuta prima in solitudine  e poi in scarsa (però importante) compagnia, ma questa sentenza l’ha trasformata in un traguardo fondamentale per tutti i giornalisti minacciati che operano in aree impervie per la democrazia e dunque per l’informazione.

Infatti i giudici di secondo grado, come ricorda Pignataro Maggiore News, “confermando la sentenza di primo grado, hanno ribadito che fu il potente e sanguinario boss mafioso di Pignataro Maggiore, don Vincenzo Lubrano – consuocero del mammasantissima di Marano di Napoli, Lorenzo Nuvoletta, e alleato di ferro dei corleonesi di Totò Riina – a volere nel 2003 la cacciata del giornalista Enzo Palmesano dal quotidiano locale Corriere di Caserta, il cui direttore responsabile era all’epoca Gianluigi Guarino”.   
Già la Dda di Napoli in sede investigativa e il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in primo grado avevano riconosciuto in capo a Francesco Cascella (nipote acquisito di Vincenzo Lubrano) l’imputazione di violenza privata in danno del giornalista Enzo Palmesano e  del direttore dell’epoca Gianluigi Guarino, ma solo il primo si costituì parte civile al processo attraverso l’avvocato  Salvatore Piccolo.  Guarino invece, sentito come  teste al dibattimento, affermò che Enzo Palmesano non era stato licenziato per volontà del capomafia Lubrano. In realtà alcune intercettazioni telefoniche allegate agli atti del processo e captate dai carabinieri di Caserta nella villa bunker di Lubrano,  supportavano esattamente il contrario, provando cioè che il boss ordinò il licenziamento del giornalista scomodo. Sia in primo grado che in Appello l’imputato Francesco Cascella è stato condannato al pagamento delle spese alla parte civile, quindi a Palmesano. Dunque quelle intercettazioni furono fondamentali per l’accertamento di una verità che sembra incredibile e proprio in questo momento, in questa storia, sono lo spunto più appropriato e utile a comprendere quanto conti la prova delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Di particolare rilevanza una frase in cui il boss Lubrano accomunava il giornalista Enzo Palmesano alla tragica storia di Giancarlo Siani, il cronista de “Il Mattino” ucciso per volontà dei Nuvoletta, dopo un summit cui partecipò un membro dei Lubrano.

Anche Vincenzo Lubrano all’epoca dell’inchiesta (2009) fu iscritto nel registro degli indagati, poi non comparso al processo perché deceduto. Chi sono i Lubrano? Secondo la Dda di Napoli si tratta di una potentissima e assai ricca famiglia di camorra che comanda

praticamente tutto a Pignataro Maggiore, un centro della provincia di Caserta. Per Palmesano quella famiglia ordinò il licenziamento, in luogo dell’omicidio che certamente avrebbe fatto più rumore. Si decise di lasciare senza reddito il giornalista autore di inchieste sul clan, una misura drastica sul fronte economico e professionale ma che avrebbe avuto minore risonanza e su cui forse non si sarebbero mai trovate prove se non ci fossero state quelle intercettazioni ambientali dei carabinieri. Ovviamente e incredibilmente l’ordine fu eseguito dal giornale e in questo modo il risultato ottenuto fu finanche più “utile” perché Enzo Palmesano con le sue inchieste portava a galla e a conoscenza di tutti il potere mafioso esercitato dai Lubrano su quel territorio. Anzi molti suoi articoli diedero origine ad indagini giudiziarie. “Giustizia stavolta è fatta”, come dice Enzo. Ma la sua vicenda manca ancora di qualche tassello. I giornalisti aggrediti e minacciati non devono stare da soli con il loro avvocato al processo in cui chiedono giustizia, perché il tentativo di imbavagliare un giornalista riguarda tutta la categoria.  Enzo Palmesano doveva stare in quell’aula insieme agli organismi di rappresentanza della categoria, per essere più forte e per rendere tutti gli altri più forti e liberi. E Cascella, il clan Lubrano e quelli come loro debbono un risarcimento economico oltre che morale a tutti i cronisti. L’avvocato Piccolo ha  ricordato in aula che Enzo Palmesano ha rischiato di essere ucciso perché dava fastidio allo stesso boss già condannato all’ergastolo per l’omicidio del fratello del giudice Imposimato. Possiamo dire che in quel brutto 2003 anche l’informazione ha rischiato di essere uccisa e non è stata ancora risarcita.

 


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