L’arresto dei due inviati di Report in Congo Brazzaville: il Governo chieda spiegazioni, l’Onu approvi un protocollo a difesa dei reporter

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E’ inquietante la vicenda dell’arresto in Congo Brazzaville dei due inviati di Report, rientrati oggi a Roma ma senza attrezzatura e girato. Luca Chianca e Paolo Palermo erano nel paese africano per seguire la traccia di una presunta tangente pagata da Eni per ottenere la concessione sul giacimento nigeriano. Dopo l’intervista a un imprenditore italiano molto noto a Pointe Noire, località marina dove si trovavano i due cronisti, agenti delle forze di sicurezza locali si sono presentati nell’albergo dove si trovavano, portandoli via e sequestrando tutta l’attrezzatura, telecamere, telefoni, e soprattutto l’intero girato, che è stato attentamente visionato e non restituito. La liberazione è arrivata solo dopo l’intervento dell’ambasciatore italiano Andrea Mazzella e grazie all’interessamento del Ministro dell’interno.

Riteniamo che ora, dopo il riserbo, tenuto in questi giorni da Rai e dalla struttura diplomatica, per non complicare la trattativa per il loro rilascio, il Ministero degli esteri italiano debba chiedere spiegazioni al governo di Brazzaville con cui l’Italia intrattiene buone relazioni, e dove operano molte aziende italiane, a cominciare proprio dall’Eni.

Non solo: quanto accaduto ai giornalisti di Report in un paese che non è zona di guerra né passa, almeno nelle classifiche ufficiali, per essere tra gli stati a rischio per i nostri concittadini, deve essere motivo per rilanciare la richiesta alle istituzioni internazionali, prima fra tutti l’Onu, di approvare al più presto un protocollo di protezione speciale per i giornalisti, e non solo in zone di guerra. L’informazione, soprattutto d’inchiesta, è riconosciuta dal diritto internazionale quale strumento indispensabile a garantire la stessa vita democratica e una piena cittadinanza. Non è accettabile che i cronisti in tutto il mondo, anche quando indagano su interessi e presunte malefatte di soggetti privati, vedono messa in pericolo la loro incolumità e distrutto il frutto del loro lavoro non da bande di criminali ma da organi di uno stato riconosciuto dal nostro governo e membro delle stesse Nazioni Unite


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