Pensare Fuori dal Tempo

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Friedrich Nietzsche è stato spesso definito un “pensatore inattuale”, epiteto a cui egli stesso a suo modo invita, intitolando uno dei suoi celebri testi “considerazioni inattuali”. L’aggettivo ‘inattuale’ non è qui inteso in senso dispregiativo, né sembra esserlo nella maggior parte dei casi in cui lo si riferisce ad un filosofo – quasi la perplessità dei molti fosse la preziosa garanzia di una comprensione della storia al di fuori di essa.

Eppure in altre circostanze si parla di categorie aristoteliche, di massime epicuree o sistemi kantiani come di pensieri ancora attuali, riconoscendo in essi un merito, questa volta, proprio nel valore che nel tempo non sembrano perdere. Coerentemente con questo contrassegno, si criticano gli scritti letterari che non dicono più nulla perché lontani dall’attualità, e lo stesso aggettivo “anacronistico” entra proverbialmente nel novero dei termini dispregiativi su ciò che è desueto e non più adeguatamente consumabile.

Usi aggettivali simili non possono che dischiudere un clima di confusione, non appena fra il plauso e la liquidazione essi si elidono vicendevolmente. Cercando di elevare il problema in senso filosofico generale, il quesito latente potrebbe essere formulato in questi termini: le suggestioni della Filosofia devono rivelarsi agli uomini con assoluta chiarezza ed in una diffusiva comprensibilità o, al contrario, un’accessibilità eccessiva sarebbe un chiaro indice di inadeguatezza nell’indagine, incapace di spingersi oltre la consueta immediatezza delle esperienze singolari?

In fondo, attraverso questa domanda si sta indirettamente problematizzando il fatto che il pensiero degli uomini possa comprendere un evo nel suo bel mezzo, che esso possa tracimare dall’alveo che ne consente l’esistenza, fino a chiedersi, non senza un ambizioso programma, se questo non sia, in ultima analisi, il fine ultimo del pensiero in quanto tale, nonché della filosofia stessa.

Per poter timidamente render conto di una tale questione è necessario chiosare innanzitutto sul suddetto alveo, il con-testo necessario in cui il pensiero è sempre inscritto. Questo involucro invisibile è la Storia, la quale, da Hegel in poi, non è più una serie episodica di meri fatti isolati, ma un processo investito di un significato ed una coerenza interna, pur fuggevole agli autori che vi partecipano.

Anche assumendo che la Storia sia una processualità sensata, il pensiero faticherebbe strenuamente a vederla dall’alto, dal punto di vista di Dio o di una nottola innocente che all’imbrunire vola sul creato e raccoglie il senso degli eventi; al contrario, esso sarebbe condotto sempre dall’interno e limitatamente al proprio spazio circoscritto, ovvero secondo le finite categorie proprie di un’epoca.

Assolvendo il pensiero da meriti o colpe, si può dire che non era possibile che Talete intuisse che l’acqua è composta da due atomi di idrogeno ed uno di ossigeno e non da un’essenza arcaica, perché il filosofo presocratico non aveva i mezzi per accostarsi più accuratamente alla composizione di tale ed altre sostanze. In altri termini, la tesi di Talete è falsa perché è storica, cioè povera di categorie descrittive della realtà.

In questi termini, però, lo stesso si potrebbe dire proiettivamente dell’empirismo inglese, della scienza newtoniana, delle condizioni aprioristiche della percezione in Kant o della meccanica quantistica. Infatti, nell’esser così orgogliosamente proclivi a negare le posizioni di Talete et similia a causa della loro storicità, si dovrebbe essere altrettanto disposti a negare la propria stessa negazione, giacché essa è storica a sua volta.

Ad esser respinta non sarebbe, poi, solo la pars destruens, ma altresì la pars construens: che “l’acqua è composta da due atomi di idrogeno ed uno di ossigeno” sia una sentenza vera non può essere sostenuto, perché la tesi risentirebbe di categorie particolari e storicizzate, oltre che di un povero corredo strumentale se valutato sul al lungo termine.

Sarebbe, forse, possibile replicare che, pur scoprendo componenti subatomiche più infinitesime di quelle oggi gestite, non negheremmo in ogni caso che anche H2O sia una proprietà emergente dell’acqua. Con questa mossa ingenua, in realtà, non si farebbe altro che avvalorare ulteriormente l’assenza di superamento rispetto alla posizione di Talete: se l’acqua come atomi non è smentita dall’acqua come particelle subatomiche, l’acqua come essenza (arché) non è smentita dall’acqua come atomi. Eventualmente, a render ‘più vera’ la proposta odierna sarebbe solo il suo riscontro pratico, un perfezionamento della fruibilità tecnica, ma de facto questo elemento non aggiunge nulla alla verità essenziale dell’acqua in quanto tale.

Se la comprensione scientifica della realtà non può che essere storica ed attraversare un superamento inverantesi esclusivamente nella tecnica, non pertinente alla verità in sé, la questione si complica quando l’oggetto d’indagine transita dal nudo ente alla complessità della cultura, dell’éthos, dell’uomo, della morale. Invero, se l’ente naturale ha un’approssimativa stabilità essenziale, alla quale è possibile accostarsi in tempi adeguati, gli argini storici del Mondo della Cultura sono, invece, malleabili, dal perimetro difficilmente comprensibile e privi di qualsiasi garanzia di persistenza, quasi si trattasse di un principio d’indeterminazione filosofico.

Gettata in questo marasma, l’intrapresa filosofica si rivelerebbe fallimentare dapprincipio, senza prospettiva di riscatto di fronte ad una complessità vibrante e fuggevole. Forse, allora, il problema dev’esser spostato all’altezza dei fini; se la pratica filosofica continua ad esser condotta pur nella consapevolezza del suo fallimento, ciò significa che la ‘vittoria’ non è davvero il fine della Filosofia.

La Verità, che si direbbe essere il traguardo del sapere, vuole essere ridefinita. Non si nutrirebbe, infatti, alcun interesse nei confronti di una verità indifferente, di uno sguardo di un’eternità senza lacrime. Lo sforzo del pensiero filosofico, discernendo l’articolarsi delle relazioni ed annientando il mondo nell’analisi, è tutto proteso ad una verità che produca senso, la verità che faccia mondo. Ma il mondo non è fatto dall’uomo nella sua angusta privatezza, quanto dagli uomini nella loro complessità etica (ogni cogito è, in ultimo, un cogitamus).

Per tornare al problema iniziale, ‘attuale’ ed ‘inattuale’ sono due categorie che rivelano un giudizio di valore espresso dagli uomini nella storia. I due termini, in fondo, significano semplicemente “questa proposta e/o autore non hanno più niente da dire” oppure “continuano ad animare una trepidante ricerca”; ebbene, tali riferimenti non hanno nulla a che vedere con la verità delle proposte dei filosofi, ma solo della loro relazione con gli uomini.

Ora, dalla fredda indifferenza degli oggetti del mondo non si desume alcun valore intrinseco, né tantomeno un senso; allora, se valore e sensatezza si generano, essi lo fanno solo all’interno delle pratiche umane e sociali. Ciò, tuttavia, avviene preterintenzionalmente, senza una reale comprensione da parte di partecipanti ‘gnoseologicamente passivi’, tanto più se all’interno di un mondo relazionalmente complesso ed accidentato, fino al punto in cui si perde in un incompreso stritolamento intergenerazionale quell’appagamento esistenziale che il senso aveva esatto.

Il senso della Filosofia è, allora, fornire una mappatura ampia di ogni articolato sistema di relazioni incomprensibili dall’interno e provvedere ad una sintesi che, pur senza verità incontrovertibile, sia sorgente di senso per colui che vi attinge. Ma, dacché nessun oggetto od evento è in sé rivelatore di senso, la Filosofia deve spingersi per definizione ad attuarsi al di fuori dalla Storia. Ciò non significa che un essere umano possa disincarnarsi e privarsi della storicità delle proprie categorie; piuttosto, esso deve indagare il senso del suo essere nel mondo e nel tempo, così violentemente silenziosi, fuori dal mondo e dal tempo, nel solo spazio in cui si possa vivere godendo del tepore di un respiro.

In conclusione, la Filosofia non può che essere un pensiero inattuale, per il semplice fatto che nulla di tutto ciò che è autonomamente in atto risponde alla sua esigenza, l’esigenza pre-filosofica del ritrovamento di un ruolo nel mondo. Così, mentre media, giornali e spazi pubblici mendicano parole d’attualità per esorcizzare ogni anacronismo, non si accorgono di elaborare un semplice resoconto senza sintesi di senso, un’esperienza disorientante dei molti priva della carezza dell’Uno. Mentre l’attualità parla della Storia, l’inattualità parla della sua Verità, che ne è condizione d’esistenza. Così si incarna la Filosofia in un torrente di parole faticose fino all’insostenibilità, talora incomprensibili, spesso marginalizzate, ma le sole che facciano tramontare l’uomo oltre la propria ombra, che lo sospingano all’inumano tentativo di un furto del geloso senso di Dio.


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