Marco Cappato non ha commesso il reato di aiuto al suicidio

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La Procura di Milano ha iscritto a notizie di reato il radicale Marco Cappato per il delitto di cui all’art. 580 Cp, dopo quanto dallo stesso riferito alla Polizia Giudiziaria sulla morte di Fabiano Antoniani presso una clinica svizzera. A prescindere da valutazioni di altro genere, che potranno e dovranno essere fatte in diversa sede, ritengo che la contestazione sia (fortunatamente) infondata dal punto di vista giuridico, e cercherò di spiegare perché.

Il reato di “ Istigazione o aiuto al suicidio ” stabilisce che: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima. Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell’articolo precedente.”.

Trattasi di norma che punisce allo stesso modo tre condotte assai diverse, quella di “determinare” (che richiama l’istigazione di cui all’ art. 414 Cp), quella di “rafforzare” l’altrui proposito (che richiama il concorso morale di persone nel reato di cui all’art. 110 Cp), ovvero quella di “agevolarne l’esecuzione”.

E’ da presumersi, i fatti sono ampiamente noti, che nel caso in oggetto l’unica ipotesi astrattamente applicabile sarebbe quella di avere in qualche modo “agevolato” l’avvenuto suicidio di Fabio Antoniani. Posto che da quella stessa indicazione “in qualsiasi modo”, emerge una portata molto ampia di una condotta sanzionata con pene assai elevate, occorre, io credo, saperla interpretare con coerenza e logicità, anche rispetto all’intera ratio della fattispecie in esame.
L’indicazione esplicita “all’esecuzione” identifica una fase ben precisa dell’azione suicidaria. E l’esecuzione di un suicidio, fase ben diversa da quella della decisione e degli eventuali atti preparatori, ha inizio nel momento in cui la persona che ha deciso di procurarsi la morte attiva materialmente il mezzo prescelto per realizzare il proprio scopo.

Nel caso in questione, Fabiano Antoniani si è procurato la morte personalmente, e senza il materiale aiuto di nessuno, attivando, seppur con le molte difficoltà derivanti dal proprio stato, il dispositivo messogli a disposizione dalla struttura svizzera. Infatti, come hanno riportato anche i media, il regolamento di quella struttura richiede tassativamente, all’atto di sottoscrizione, che sia unicamente il diretto interessato ad attivarlo, e non altri accompagnatori. Stante così le cose, risulta chiaro che né Marco Cappato, né altri, hanno agevolato Fabiano Antonioni ad eseguire l’evento anti-giuridico da lui stesso deciso e realizzato,  limitandosi a presenziare all’esecuzione, fornendogli conforto affettivo. Né ritengo possa anticiparsi la fase di “esecuzione”, e pertanto passibile di penale “agevolazione”, a quella solo preparatoria, consistente nel reperimento di una struttura idonea e nel suo materiale raggiungimento, e questo anche alla luce della successiva descrizione di un tentativo punibile secondo generale modello di cui all’art. 56 Cp. E’ evidente infatti l’impossibilità di ipotizzare un evento lesivo grave o gravissimo durante la fase preparatoria, ragion per cui, proprio in quella punibilità anche degli “atti idonei diretti in modo non equivoco” (art. 56 Cp) all’agevolazione produttiva di lesioni (art. 582 Cp), debbono identificarsi anche gli esatti limiti dell’esecuzione consumata.

La scelta di attribuire punibilità al solo tentativo lesionistico conferma la precisa volontà del legislatore di sanzionare, con questa norma, tutti quei comportamenti che forniscono un contributo causale ad “offendere” fisicamente il corpo di persona consenziente. Ragion per cui, ferma restando l’evidente impossibilità di punire chi decide di suicidarsi, è vietato contribuire alla sua decisione o alla materiale esecuzione della sua decisione. Ne deriva che, a differenza delle prime due, e che attengono alla fase preparatoria, la terza condotta punita dall’art. 580 Cp deve necessariamente concretizzarsi in un aiuto materiale al sucida e non già in una mera assistenza “morale”.

Nel caso in oggetto, non si ritiene quindi che né Marco Cappato, né alcun altro dei soggetti che hanno ritenuto di accompagnare Fabio Antoniani nel luogo dove gli veniva permesso di realizzare quello che nel nostro Paese non gli veniva consentito, abbiano commesso alcun reato.
E’ stato Fabio Antoniani, infatti, a decidere da solo e in piena lucidità di porre fine alla propria sofferenza e di recarsi in quel luogo, ed è stato sempre Fabio Antoniani a riuscire, seppure con quell’estremo sforzo che le sue condizioni fisiche gli imponevano, a procurarsi la morte.


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