La mafia all’opposizione

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La vera notizia che ci arriva dalle scritte sui muri di Locri e Palermo è che la mafia è stata mandata all’opposizione. I governi infatti non scrivono sui muri né, in genere, aspettano le tenebre per uscire in strada a dire come la pensano. Sono comportamenti che si addicono alle minoranze isolate, agli eversori, ai contestatori o ai devianti. Sarebbe davvero un errore non cogliere questo dirompente elemento di novità che arriva dai giorni di Locri. La mafia potente e riverita va a braccetto con la religione. Onora i preti e i cardinali, partecipa alle processioni, non minaccia gli uomini di chiesa, che pure ha ucciso quando, isolati, l’hanno contestata nei regni di Brancaccio o Casal di Principe. Quando però non un prete solitario ma la chiesa intera la contesta, guidata dal papa e dalla conferenza episcopale, proprio nel regno calabrese, essa può solo scrivere sui muri.

Don Ciotti sbirro? Disgustoso, certo; ma per certi aspetti non preoccupante. Un tempo non molto lontano la mafia al governo del paese avrebbe trovato ben altri modi per dirlo che non mandare qualche scagnozzo a scriverlo sui muri. Avrebbe organizzato succulente campagne di opinione, avrebbe smosso i suoi giornali o giornalisti amici, qualche grande tivù privata per colpire e delegittimare la figura del prete antimafioso. Avrebbe fatto parlare qualche politico contro i professionisti dell’antimafia, avrebbe fatto tuonare qualche avvocato. Come dimenticare le campagne mediatiche e politiche contro il “giustizialismo” dei familiari delle vittime che osavano chiedere giustizia nei tribunali? O gli attacchi ai giovani che scendevano in piazza contro la mafia perché “ogni motivo è buono per non andare a scuola”?. Chi non ci crede spulci con diligenza le emeroteche, spaginando negli anni ottanta. I 25mila ragazzi di Locri non sono stati attaccati da nessuno anche perché prima di loro, una mattina di domenica, è andato a manifestare anche il presidente della Repubblica, cosa finora mai accaduta. Oggi chi vuole attaccare la mafia si deve affidare alla clandestinità. Come non salutare con gioia questa straordinaria novità?

Tuttavia sarebbe sbagliato immaginare, al contrario, che la novità possa cancellare le mille ragioni che le organizzazioni mafiose hanno, ancora oggi, di essere soddisfatte. Perché poi la verità è che sotto Mattarella c’è praticamente il vuoto della politica, una politica incapace da anni, da molti anni, di mettere la lotta alla mafia nella propria agenda, perfino di pronunciare la parola. La verità è che sotto i reparti investigativi speciali delle forze dell’ordine c’è una pletora di comandi locali nei piccoli comuni, ovvero nell’Italia vera e profonda, che cerca il quieto vivere più che il rispetto della legge. Che a fianco delle direzioni distrettuali antimafia ci sono magistrati giudicanti che nulla sapendo di mafia non riescono a vederla in tribunale nemmeno dietro autocertificazione. Eccetera. Eccetera. La lotta, dunque, è lunga. I mafiosi non governano più il paese, ma non lo governano nemmeno gli antimafiosi. Il rischio del pendolo è sempre in agguato. Una cosa comunque è vera e segna un punto di non ritorno: oggi la lotta alla mafia non si fa più solo sotto la spinta delle emozioni. C’è un popolo in cammino che cerca un’Italia senza mafia e senza corruzione. Non la troverà mai, quell’Italia, ma inizia a vedere da lontano, da molto lontano, qualcosa che le assomiglia.


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