Il giornalista “scomodo” non si ammazza solo con le armi da fuoco

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Se ci sono poteri forti o gruppi criminali che vogliono mantenere i riflettori spenti su vicende scottanti, è molto probabile che per garantire il silenzio colpiscano prima di tutto i giornalisti. Minacce,  querele, insulti sui social network.  Se la stampa non ne parla, il fatto non esiste. Se il fatto non esiste non c’è opinione pubblica che incalza, denuncia, si indigna. Negli ultimi tempi cronisti di varie testate, che hanno raccontato e raccontano della terra dei fuochi,  sono stati oggetto di intimidazioni e aggressioni verbali. Intercettazioni telefoniche e ambientali in cui boss e aspiranti boss della camorra manifestano la volontà di uccidere chi ha messo in luce il rapporto tra colletti bianchi dei clan e prestanome. Insulti su facebook , appelli agli utenti del web per inserire nelle black lists i cronisti che ricordano il tasso elevato di morbilità e mortalità infantile nei comuni della terra dei fuochi.

Non bisogna dire che sversamenti e roghi di veleni compromettono la salute, che le devastazioni delle campagne e delle periferie urbane abbiano come triste, drammatica conseguenza, l’aumento dei malati e dei morti di cancro.  Sono verità scomode, queste, per i responsabili dei disastri ambientali, sebbene siano sostenute da esperti di fama mondiale.  Non bisogna intercettare i rapporti tra sconosciuti proprietari di terreni e imprenditori collusi con le cosche. Non bisogna ricordare che i criminali frequentano abitualmente  e impunemente l’ufficio del sindaco o di altri amministratori pubblici, discutendo di appalti e piani  urbanistici. Non bisogna sottolineare che i consulenti di parte della difesa degli imputati sotto  processo per associazione a delinquere di stampo mafioso, fanno parte di presunti gruppi di scienziati che negano  le devastazioni del territorio.

Sempre più spesso, si cerca di annientare il giornalista  con gli strumenti legali. Querele su querele, che costringono i cronisti a difendersi davanti a polizia giudiziaria e magistrati. Se alle spalle il giornalista ha un’azienda sana e solida, può contare sugli avvocati pagati dall’azienda, se invece si tratta di un free lance,  deve pagare di tasca propria l’assistenza legale. Il giornalista “scomodo” non si ammazza solo con il tritolo o con un’arma da fuoco. Il giornalista si scredita, si denigra, si deride, si aggredisce con parole pesanti, si querela per diffamazione. L’opinione pubblica deve sapere, deve essere messa al corrente di quanto accade. Noi cronisti, dal canto nostro, continuiamo a raccontare, svelare, indagare senza temere l’arroganza e la violenza di chi pretende il silenzio.


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