I miei nove anni in Articolo21

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Era il 29 ottobre 2008 e nel mio liceo, al pari di migliaia di istituti italiani, erano in corso manifestazioni, cortei e assemblee contro la riforma Gelmini: una passeggiata di salute se la si confronta con la successiva riforma Giannini, capace di provocare cortei e proteste ancora più agguerriti, con una miriade di insegnanti e studenti a riempire le strade e le piazze di ogni angolo della Penisola, ma comunque una battaglia sentita che conducemmo con passione e convinzione.
Era il pomeriggio di quel lontano mercoledì di fine ottobre di tanti anni fa quando telefonai a Beppe Giulietti per chiedergli un’intervista in merito alla nostra lotta in difesa della scuola pubblica e Beppe, per tutta risposta, alla fine di quel colloquio mi propose di venirne a parlare su Articolo 21, attribuendomi finanche una rubrica personale dal titolo “Sguardi sul mondo”.
Nove anni da allora: nove anni di battaglie, di passione civile, di impegno, di sogni e di speranze; nove anni nel corso dei quali ho potuto toccare con mano quanti diritti sarebbero rimasti indifesi, quante periferie oscurate, quanti ultimi abbandonati a se stessi, quanta dignità umana umiliata, quanti angoli del mondo oscuri se quest’associazione non avesse combattuto sempre in terra di frontiera, contro ogni censura e bavaglio, contro le querele temerarie e gli attacchi, le aggressioni e le minacce nei confronti di centinaia di giornalisti coraggiosi, rei soltanto di voler continuare a svolgere come si deve la propria professione.
Nascemmo nel 2002, per l’esattezza il 27 febbraio, e le prime battaglie riguardarono la dignità del servizio pubblico: quella RAI che circondammo con girotondi e sit-in, quella RAI umiliata e messa in discussione dai “berluscones”, ai tempi dell’editto bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi e delle epurazioni nei confronti di Sabina Guzzanti e di Carlo Freccero nonché di molti altri professionisti di grandissimo valore, senza i quali la RAI ha subito una perdita di prestigio senza precedenti.
Nascemmo con l’illusione di poterci sciogliere in breve tempo, con l’idea, ingenua e un po’ sognatrice, che presto non ci sarebbe stato più bisogno di noi, che si sarebbe tornati alla normalità, che la libertà d’espressione sarebbe tornata rapidamente ad essere un valore condiviso da tutte le forze politiche e invece, purtroppo, a malincuore, siamo costretti a constatare che quindici anni dopo c’è ancora più bisogno di noi, nella stagione del trumpismo arrembante, degli insulti deliberati ai giornalisti, delle offese gratuite, della barbarie diffusa e del silenzio complice di tanti, troppi che anche nella nostra categoria avrebbero il dovere, morale e civile, di prendere posizione in difesa dei colleghi insultati pubblicamente e, al contrario, non lo fanno e, forse, non lo faranno mai.
Nove anni: ne avevo diciotto la prima volta che partecipai ad una serata di Articolo 21, era il 12 novembre 2008 e si discuteva, tra le altre cose, del vergognoso veto posto dal PDL su Leoluca Orlando, candidato dall’IDV alla presidenza della Commissione di Vigilanza RAI. Non potevamo accettare che Berlusconi ponesse alle opposizioni la condizione intollerabile che il candidato da esse prescelto sarebbe stato votato dai suoi a patto che non fosse un esponente del partito di Di Pietro: molti di noi votavano altrove ma quella battaglia andava fatta per una questione di civiltà, e infatti la conducemmo in prima linea.
Ricordo che quella sera mi presentai dicendo di essere fiero di essere figlio di un’insegnante e di un ricercatore, per rispondere alle accuse rivolte dalla Gelmini agli insegnanti e da Brunetta ai dipendenti pubblici e per fornire un piccolo contributo ad una battaglia, quella in difesa del concetto stesso di pubblico, che negli anni si è trasformata in una delle nostre bussole.
L’acqua bene comune, il paesaggio bene comune, l’informazione e la RAI come beni comuni imprescindibili e, proprio per questo, non privatizzabili e una serie di insegnamenti che ho appreso dalle tante figure straordinarie con le quali ho avuto modo di venire a contatto e di cui, in alcuni casi, sono diventato anche amico: schiena dritta e testa alta, mai indietreggiare di fronte ad un’accusa ingiusta o ad un attacco infondato, rispettare il prossimo, scrivere in maniera civile, mantenere la dovuta sobrietà e rifiutare l’incultura corrente dell’urlo e dell’insulto.
Una comunità negli anni dell’individualismo sfrenato, una famiglia e un luogo d’incontro negli anni in cui tutto questo è venuto meno, il mio partito, perché se partito significa rappresentare una parte del Paese, direi che gli ultimi, i deboli e chi è animato da una sincera passione per la cultura e per il sapere, contro ogni forma di vessazione, quella è e sarà sempre la mia parte politica: questo rappresenta per me Articolo 21, al di là della notevole quantità di articoli ed interviste che vi ho pubblicato e delle tante bellissime esperienze che ho vissuto e per le quali non posso che ringraziare chi le ha organizzate, animate e portate all’attenzione dei mezzi d’informazione.
Di questi nove anni insieme mi rimangono impressi due ricordi: il primo risale all’estate del 2012, quando ebbi l’onore di conversare per alcuni minuti con Federico Orlando, la cui nipote Marina è oggi una delle mie migliori amiche e una delle persone che stimo maggiormente; il secondo riguarda Santo Della Volpe. Era il 18 ottobre 2014, eravamo ad Assisi, io, lui e Vincenzo Vita, seduti in un bar a prendere un caffè: Vincenzo e Santo parlavano a bassa voce, io ascoltavo in silenzio e ad un tratto ci raccontò della sua pancreatite; stava male, aveva perso parecchi chili, era pallido e le forze gli stavano venendo meno eppure era sereno. Ci guardammo con Vincenzo, un’occhiata furtiva e nulla più: capimmo subito che non si trattava di una pancreatite ma sperammo che potesse avvenire un miracolo. Avrei rivisto Santo ancora due volte: nel dicembre di quell’anno e un mese prima che se ne andasse. Mi sorrise, col suo sorriso inconfondibile, e mi disse che finalmente, da presidente dell’FNSI, si era potuto rimettere a lavorare seriamente. Era il 28 maggio 2015, parlava con una voce rauca e affaticata, bassissima, quasi impercettibile e a me tornò in mente quel sabato umbro di qualche mese prima. Poi più nulla, il silenzio, l’addio e una bellissima lezione, umana e professionale, che porterò sempre con me, nel mio cuore e nella mia mente.
Per queste e mille altre ragioni, lunedì sera ci sarò.


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