Le redazioni regionali un grande patrimonio di servizio pubblico

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Lilli Gruber, Michele Santoro, Antonio Di Bella, Nino Rizzo Nervo, Sandro Ruotolo. Comunque la si pensi sono professionisti riconosciuti fra i migliori del giornalismo televisivo italiano. E poi inviati o corrispondenti come Ennio Remondino, Lucia Goracci, Salvatore Cusimano, Tiziana Ferrario, Marco Varvello, scrittori di successo come Roberto Alajmo e decine di altri ai vertici del giornalismo audiovisivo e altri che non ci sono più come Santo Della Volpe.  Cosa hanno in comune? Si sono tutti fatti le ossa nelle redazioni regionali della Rai.

Lì hanno imparato a fare il mestiere, a raccontare il loro territorio, a gestire i grandi fatti di cronaca nazionale nei luoghi dove accadevano, erano giornalisti della testata regionale della Rai. Qualcuno dovrebbe ricordare tutto questo nel momento in cui la TGR subisce un attacco per il quale la sola parola giusta è quella usata dall’Usigrai: vergogna.

Certamente nel corso degli anni le sedi regionali, nate nei lontanissimi anni ’60 in regime di monopolio, avrebbero dovuto subire una maggiore modernizzazione. Ma l’azienda, da un direttore generale all’altro, ha lasciato per ultima la digitalizzazione delle sedi, anche se la riorganizzazione lentamente è avvenuta e oggi non sembrano affatto una fonte di sprechi. C’è una ridondanza che riguarda i luoghi fisici in cui risiedono le sedi regionali, ma solo perché mai la Rai è riuscita, in decenni costellati da progetti e buoni propositi, a gestire il suo patrimonio immobiliare in modo razionale. C’è l’ingerenza della politica, certo, ma cosa accade nei telegiornali nazionali, vogliamo fare qualche seria indagine e qualche serio confronto? O parlare delle chiamate esterne di dirigenti di ogni razza e colore a stipendi che i giornalisti della Rai mai si sono sognati di avere?

Ci piaccia o no il tempo è passato e la televisione di oggi non ha nulla a che spartire con quella di qualche decennio fa. Ma all’interno del servizio pubblico sono ormai poche le vere differenze con le altre emittenti, e sono le redazioni regionali – cioè la TGR –  le teche e Rai Cultura, Rainews e naturalmente la radio. Chi si scaglia contro queste strutture ha in animo un solo progetto, purtroppo molto di moda: la cancellazione del servizio pubblico radiotelevisivo. Noi no, noi il servizio pubblico lo vogliamo, e sempre più vogliamo che sia un pezzo forte della nostra democrazia.

Articolo 21, ed io personalmente anche come ex direttore della TGR, esprimiamo grande solidarietà e vicinanza a tutti i colleghi delle redazioni regionali e al direttore Vincenzo Morgante.


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