Giulio Regeni un anno dopo

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Giulio Regeni, un anno fa. E ancora troppe domande sono senza risposta, troppi dubbi non sono stati fugati, troppe richieste di verità e giustizia sono state annegate nella palude melmosa delle verità ufficiali, coperte dai segreti di Stato, impantanate nel gioco di veti incrociati fra servizi segreti, interessi economici complementari, diplomazie del commercio e sostenitori della tesi, purtroppo non del tutto infondata, secondo cui il Pinochet all’ombra delle piramidi costituirebbe comunque un argine al dilagare dello Stato Islamico,
Spiace dirlo, ma l’impressione è che spesso l’Europa, non solo l’Italia, alla dignità, al rispetto dei diritti umani e ad altri princìpi basilari sui quali, in teoria, dovrebbe fondarsi la sua azione preferisca la realpolitik e il quieto vivere con i “nostri figli di puttana” che, oltre a fare i propri interessi, contribuiscono talvolta a toglierci le castagne dal fuoco.
Non si spiegherebbe altrimenti la simpatia per un tiranno come Erdogan: persecutore della libertà d’espressione e di ogni forma di opposizione ma, al tempo stesso, disposto, almeno per ora, previo lauto pagamento, ad arginare la fiumana di profughi in fuga dalla Siria e dall’Iraq e bloccata in Turchia per scongiurare l’ascesa delle cosiddette forze populiste che sulla propaganda cialtrona anti-immigrati hanno costruito una fortuna elettorale di tutto rispetto.

Non si spiegherebbe altrimenti la simpatia per un soggetto come al-Sisi, golpista e massacratore del suo popolo, o per Gheddafi, passato in pochi anni dalla polvere all’altare e poi di nuovo alla polvere, se non con la motivazione innegabile che il primo sia visto come una diga al dilagare delle pulsioni islamiste più radicali e il secondo fermasse, a sua volta, l’ondata di profughi in fuga dal cuore dell’Africa, flagellato da carestie e conflitti di proporzioni bibliche.
La verità, dunque, è che a noi europei i diritti umani, le predicazioni mondialiste, le aperture e le nobili visioni piacciono finché se ne discute nei convegni, finché se ne parla in televisione, finché sono utili per intercettare il consenso della parte più scolarizzata e cosmopolita delle nostre opinioni pubbliche, finché insomma possono valere un titolo sui giornali o una partecipazione in più ai dibattiti televisivi, ma quando poi si tratta di passare dalle parole ai fatti, ecco che all’improvviso sorgono mille perplessità, ci si pongono degli interrogativi sulla fattibilità della cosa, ci si domanda se per caso tutto questo slancio umanitario non faccia perdere voti, se non fornisca altro carburante alle già lanciatissime vetture di Salvini o della Le Pen e allora ci si ferma, si batte in ritirata, si comincia a blaterare di sicurezza, a far propri gli slogan e le parole d’ordine dei populisti che si vorrebbe combattere e, inevitabilmente, si perde: la dignità prima ancora delle elezioni.

Giulio Regeni, a tal proposito, costituisce la cartina al tornasole della nostra ipocrisia. Il sospetto, infatti, è che l’evidenza della realtà, da molti negata ma, come talvolta accade, più forte di ogni negazione e di ogni depistaggio, la si sia voluta accantonare, a scapito della vita spezzata di un ragazzo morto, in maniera atroce, a soli ventinove anni e di quel poco che rimane della credibilità del nostro Paese.
Perché Giulio indagava, si informava, era curioso e si sforzava di illuminare a giorno le innumerevoli falle di un sistema che, oltre a non essere democratico, non è neanche umanamente accettabile, essendo foriero di ingiustizie, disuguaglianze, soprusi, vessazioni e forme di corruzione assolutamente spregevoli.
Perché Giulio sapeva, scriveva, denunciava, dunque dava fastidio, in questa drammatica stagione in cui chiunque si comporti come lui è destinato a diventare il bersaglio principali dei tanti regimi sparsi per il mondo e anche delle tante false democrazie che completano il quadro del nostro degrado.
Perché Giulio non si arrendeva alla barbarie, studiava e costituiva un esempio di come dovrebbe comportarsi l’élite intellettuale, oltretutto andando a cercarsi le notizie sul campo e descrivendo con scrupolo ciò che vedeva e tastava con mano ogni giorno. Per questo aveva molti più nemici di quanto ingenuamente credesse; per questo, un anno dopo, il suo caso è ancora avvolto da troppi misteri e punti oscuri; per questo temo che la verità non la sapremo mai, almeno ufficialmente, in quanto come siano andate le cose è sotto gli occhi di tutti, talmente lapalissiano che pochi avranno il coraggio di dirlo o di scriverlo, ben coscienti dei rischi cui si espongono.


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