Congo: una spirale di violenza lunga vent’anni

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Dopo sedici anni esatti, il suo mandato è scaduto, ma il presidente della Repubblica democratica del Congo Joseph Kabila non ha nessuna intenzione di uscire di scena e fa di tutto per rimandare le elezioni, che si dovevano tenere a novembre. Continuano intanto i massacri delle popolazioni del Nord Kivu.

di Enzo Nucci

«Siamo sull’orlo di un nuovo conflitto globale. Se, come sembra, il presidente Kabila non indirà le elezioni rinunciando al potere dopo due mandati, così come prevede la Costituzione, tutto il paese precipiterà nella guerra civile». Parole di monsignor Donatien Bafuidinsoni, ausiliare di Kinshasa, affidate ad un’intervista lo scorso 24 settembre 2016. «Dalla morte del dittatore Mobutu in poi, la Repubblica democratica del Congo, che già aveva molti problemi, è precipitata in una spirale di violenza da cui non si è più ripresa. Si può dire che dal 1997 non c’è mai stata pace, ma l’aria che si respira al momento è davvero pesante». Così l’alto prelato fotografa senza mezzi termini la situazione.

Papa Francesco è attentissimo su quanto succede nel paese più ricco del continente africano. Il 15 agosto 2016 nell’Angelus dell’Assunta lanciò l’appello per richiamare l’attenzione sulle popolazioni del Nord Kivu «colpite da nuovi massacri che da tempo vengono perpetrati nel silenzio vergognoso, senza attirare neanche la nostra attenzione. Fanno parte purtroppo dei tanti innocenti che non hanno peso sulla opinione mondiale». Il papa ha poi ribadito senza mezzi termini le sue posizioni allo stesso presidente Joseph Kabila nel corso di un colloquio privato svoltosi il 26 settembre in Vaticano.

Lo scoglio sono le elezioni. Presidente e Parlamento sono scaduti il 19 dicembre 2016. Le votazioni si sarebbero dovute tenere entro novembre ma sono state rimandate per problemi legati alla revisione delle liste elettorali e lo svolgersi in contemporanea di consultazioni locali e provinciali. Una “scusa” del presidente Kabila, che non ha alcuna intenzione di uscire di scena dopo due mandati consecutivi, come prevede la Costituzione approvata dai congolesi nel 2005. La sua presidenza è la più lunga nella storia della Rdc, dopo 32 anni di dittatura di Mobutu, arrivato al potere nel 1965 con un colpo di stato contro Patrice Lumumba per poi essere deposto nel 1997 da Laurent Kabila (padre di Joseph) grazie all’aiuto militare di Ruanda e Uganda.

Nel 2001 Laurent Kabila fu misteriosamente ucciso: non si esclude che dietro questo omicidio ci sia stata la mano del figlio Joseph, che diventò così il quarto presidente dell’ex colonia belga. Joseph Kabila nella prima fase del suo mandato ha potuto contare sull’appoggio della comunità internazionale ma anche della Cina, ambedue interessate alla stabilità del paese per poter usufruire senza intoppi delle enormi ricchezze custodite nel sottosuolo. Una luna di miele destinata però a finire di fronte alle contestazioni popolari seguite alle elezioni del 2006 e del 2011 che incoronarono Joseph Kabila, sospettato di brogli. A far emergere le reali intenzioni del presidente di allungare la sua presidenza di almeno un altro mandato, fu nel 2015 la richiesta dei suoi sostenitori di un censimento per avere un registro più aggiornato delle liste elettorali. Insomma un escamotage, l’ennesimo, per rinviare le elezioni, l’inizio di una “melina” per favorire ancora una volta Kabila, che passerà alla storia per l’appartenenza alla ristretta cerchia dei «cleptocrati di Stato». La richiesta del censimento causò proteste costate la vita a 40 persone, ma costrinse Kabila a ritirare la proposta.

Dal 2015 il presidente è riuscito così a creare un clima di stallo politico che non lascia presagire niente di buono. Lo scorso 18 ottobre ha firmato un accordo con una parte dell’opposizione che prevede di costituire un governo di unità nazionale con l’obiettivo di arrivare alle elezioni entro l’aprile del 2018. A dirigere l’esecutivo il presidente ha nominato un leader dell’opposizione che ha partecipato alle trattative e per questo è stato premiato: insomma, una foglia di fico per nascondere una crisi senza sbocchi.

Ora, restando presidente, conta di gestire questa delicatissima fase di transizione. Ovviamente la gran parte dei suoi oppositori non ha mai preso in considerazione l’ipotesi di affidargli questo passaggio e suggeriscono anzi il suo abbandono per favorire il dialogo tra i partiti e le elezioni.

In queste condizioni è assicurato l’ingresso nella palude politica e gli sbocchi restano oscuri quanto imprevedibili. Basta infatti pensare che proprio in Congo tra il 1998 ed il 2003 scoppiò quella che fu definita la guerra mondiale africana, che causò 5 milioni e mezzo di morti, milioni di profughi ed il coinvolgimento di ben 8 nazioni africane nel conflitto. L’inferno è ancora una volta dietro l’angolo.

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