Ballottaggio no, capilista sì…

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Strano il criterio adottato dalla Corte Costituzionale nel giudicare la legge elettorale. Infatti, se la Consulta da un lato preclude alla minoranza del secondo turno di diventare maggioranza in Parlamento grazie a un premio anabolizzante, dall’altro lascia in vita i capilista, che sono un insulto altrettanto pesante alla rappresentanza. Nominati che invece rimangono e vengono piazzati nei vari collegi dal segretario di partito, in base al suo insindacabile giudizio. Non solo, ma la Corte conserva la possibilità delle 10 pluri-candidature, un arbitrio anti-rappresentanza appena mitigato dall’impossibilità di scelta finale da parte del candidato, sottratta però agli elettori (collegio con il risultato migliore) e affidata alla sorte (estrazione).
La Suprema Corte esplicita che il post-Italicum è immediatamente utilizzabile. Dichiarazione ovvia, visto che una legge elettorale deve sempre esserci. Ma tanto basta a scatenare i partiti con sondaggi migliori a chiedere elezioni subito, pronti a passare all’incasso. Compreso il PD di Renzi, ancora convinto di poter incamerare la stessa percentuale del referendum costituzionale. Ma gli impazienti dovranno superare una diffusa opposizione alle urne di primavera, dettata non dalla governabilità, ma dalla “pensionabilità”. Sì, perché per molti parlamentari al primo mandato, solo da settembre maturerà il diritto ad ottenere la pensione.
Il vero ignorato in tutto questo trambusto è l’interesse generale ad una buona legge elettorale. Quella che pone in un ragionevole equilibrio le due esigenze di rappresentanza e governabilità. L’ultima ad averlo fu il Mattarellum, con il vantaggio del collegio uninominale, che costringeva i partiti a schierare un candidato stimato dagli elettori, riducendo il rischio di vedere sulla scheda una mezza calzetta fedele al capo.
Per questo ritengo che il ripristino del Mattarellum sia la scelta più opportuna. Anche perché – in questa fase di totale oscuramento dell’interesse nazionale – gli attuali partiti non sono in grado di produrre una legge elettorale altrettanto equilibrata. Più realisticamente, purtroppo, voteremo con quel che passa il convento (la Consulta), benché i due sistemi elettorali per Camera e Senato siano fortemente disomogenei. Ma se ciò dovesse verificarsi per l’inerzia del Parlamento, questa sarebbe la dimostrazione conclamata che abbiamo toccato il punto più basso della massima istituzione dello Stato. Forse un bagno di consapevolezza necessario per votare le forze politiche che pongano nel loro programma un cambiamento profondo del Parlamento, inclusa la revisione di regolamenti e stipendi, per ridargli la dignità e funzionalità necessarie a tutelare la democrazia.

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