Dopo Referendum: fiducia nell’Italia e nel presidente della Repubblica

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Nel 1978, che in molti considerano l’anno più buio della nostra democrazia, l’Italia ce l’ha fatta a superare l’ancora in parte misterioso assassinio di Aldo Moro e della scorta e a sconfiggere la più feroce forma di terrorismo interno che un paese europeo abbia avuto nel novecento. Ce l’ha fatta perché i cittadini italiani hanno sentito che per andare avanti bisognava restare uniti e poggiarsi su quel baluardo di libertà che è la nostra Costituzione, che in tanti hanno poi definito “la più bella del mondo”. Responsabilità, unità, rispetto dei valori costituzionali, così l’Italia è uscita, forte, da quegli anni difficilissimi e da altre tragiche emergenze.

Per questo Articolo 21 ha lavorato in questi mesi favorendo un dibattito libero e aperto a tutte le motivazioni del voto, basandosi soltanto sul rispetto delle regole, con onestà intellettuale e correttezza, che, come ricorda Giulietti, ci permette oggi, dopo il voto del 4 dicembre, di non sentirci come associazione in nessun gruppo di tifosi né su una curva né sull’altra, mantenendoci una casa delle differenze.

Dispiace, però, che la maggior parte dei media italiani tradizionali, parlo di giornali, tv e radio, non possa francamente dire lo stesso. Ma noi restiamo invece tenacemente tifosi dell’Italia e dei valori della Costituzione, valori – e questo sì lo abbiamo scritto più volte – che non andavano gestiti come strumento divisivo del paese. La Costituzione è stata cambiate nel corso degli anni in alcune sue parti, come è accaduto in altri paesi compresi gli Stati Uniti, ma sono cambiamenti – indiscutibilmente necessari sul bicameralismo e su altri importanti punti – che devono scaturire da un consenso se non generale almeno molto ampio, ottenuto con la fatica del dialogo e della mediazione, quella sana, basata sul ragionamento, non quella inciucista basata sulle convenienze reciproche. Diciamoci la verità: questo voto che con superficialità viene definito populista è il contrario stesso del populismo, che significa non rispettare le divisioni, le contrapposizioni, le differenze che costituiscono il tessuto stesso di ogni società democratica. I democristiani di un tempo dicevano che eravamo “una società articolata e complessa” e sembra difficile immaginare che non sia più così.

La Costituzione nata nel 1948 partiva addirittura da una società tragicamente divisa in un paese distrutto dalla guerra, eppure lo ha tenuto unito e lo ha salvato da ogni tipo di regime, lo ha mantenuto libero, prevedendo pesi e contrappesi e quindi mediazione.

Ora tutto questo serve ancora di più. E di questi principi di responsabilità e di tenuta democratica, di necessità di ricostruire un rapporto forte e positivo fra la politica e i cittadini sappiamo di avere il migliore dei garanti nel presidente della Repubblica.

Chi oggi definisce il capo dello Stato semplice “arbitro” fa un serio torto alla storia politica, professionale, culturale e alla tempra morale di Sergio Mattarella, che ha fatto capire da tempo di conoscere assai bene la differenza fra un referendum, che lascia intatta la situazione del Parlamento, e una elezione politica. Siamo un paese che è tornato a votare in modo consistente, il capo dello Stato sa che ora serve un paese che torni anche a credere nelle ragioni della politica e serve quindi una buona politica.


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