#dallapartedinice raccontata da Angelo Ferrari

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Abbiamo intervistato Angelo Ferrari,  presidente dell’associazione Hic Sunt Leones. Dalle sue parole capirete meglio il progetto e anche lo spirito con il quale è nato e lo stiamo portando avanti. Ricordiamo a tutti che c’è tempo sino al 7 febbraio per diventare produttori dal basso della nostra serie. Per partecipare cliccate qui.

Come nasce il progetto #dallapartedinice?
Tutto è nato casualmente. Lavorando in Africa per la mia agenzia (l’Agi) mi è balzata agli occhi la notizia dei riti alternativi dei Masai. Così ho conosciuto Nice e il suo lavoro con Amref in Kenya, scoprendo che sono oltre 12mila le bambine che hanno fatto il rito di passaggio dalla pubertà all’età adulta senza subire alcun taglio. Verso questa notizia ho maturato un interesse profondo, accompagnato dalla suggestione emotiva e visiva date dal contesto in cui accadevano questi riti: le falde del Kilimangiaro. E così la scorsa estate insieme ai fondatori dell’associazione Hic Sunt Leones abbiamo deciso di lanciarci in questa prima avventura: realizzare un serial storytelling sui diritti delle bambine e delle donne africane, partendo proprio dalla storia di Nice.

Perché questo tema: diritti umani, donne e Africa?
Abbiamo scelto di focalizzarci su queste storie perché l’impressione che abbiamo è che al mondo non interessino abbastanza. E quindi a noi la responsabilità di raccontarle e farne capire la forza e l’importanza. Inoltre con questo progetto vogliamo anche vincere un sentimento che ci accomuna: la frustrazione di chi si trova a scrivere, girare, raccontare cose che sembrano non cambiare mai. Le storie che racconteremo sono tutte storie straordinariamente positive. Nonostante il contesto, le difficoltà, le violazioni subite, queste bambine e donne sono riuscite a farcela.

Ci racconti il tuo incontro con Nice?
E’ stato un incontro normale. Ero corrispondente di Agi e avevo deciso di raccontare la sua storia e quella dei riti di passaggio. Nice mi ha colpito per la semplicità che è riuscita a mantenere nonostante la sua crescente notorietà e i risultati straordinari ottenuti nella lotta per i diritti delle bambine e donne africane. E’ stata una bambina, e ora è una donna, con un grande pragmatismo, una grande tenacia e consapevolezza di sé.

Il rito alternativo, di cosa si tratta?
Il rito si svolge per due o tre giorni nel periodo di chiusura delle scuole. Sono Amref, le autorità locali e il governo del Kenya ad organizzarlo. Le bambine hanno tra i 9 e i 12 anni e durante queste giornata partecipano a degli incontri di educazione sessuale e sanitaria: parlano delle malattie, della sessualità, della salute femminile. La sera prima della giornata conclusiva del rito si svolge una cerimonia durante la quale le bambine vedono dei filmati sulla mutilazione genitale femminile e condividono quanto appreso durante gli incontri. C’è anche l’accensione di una candela che rappresenta la luce dell’educazione e sono le donne più anziane a passare la fiamma alle più giovani. Alla fine la luce viene spenta per rappresentare la vittoria sulla brutalità. Il giorno seguente, all’interno di una manyatta, insediamento tipico Masai, gli anziani del villaggio aspettano le bambine vestite con i loro abiti tradizionali coloratissimi. Al loro ingresso, vengono benedette dagli anziani con il latte contenuto in una zucca vuota. Poi la festa continua con canti tradizionali e un piccolo spettacolo teatrale contro le mutilazioni.

Sette uomini per una causa tutta al femminile. Come mai?
All’inizio pensavo fosse un limite e ne ho parlato anche con delle amiche, colleghe che invece erano entusiaste del fatto che degli uomini si mettessero a raccontare le donne, inoltre di donne geograficamente lontane dal nostro Paese. Il fatto di essere noi sette tutti maschi è stato un dato acquisito. Nel senso che noi sette siamo amici da tempo e ritrovandoci spesso a lavorare e a viaggiare insieme, abbiamo deciso di unire le forze in questo progetto comune. Così è nata l’associazione Hic Sunt Leones, di cui noi siamo i fondatori, ma che chiaramente speriamo nel tempo che cresca con tutte le persone che vorranno entrarne a far parte, senza alcuna distinzione di genere. Tutti noi, inoltre, eravamo rimasti colpiti dalla forza delle donne africane, dal fatto che su di loro si regga l’intera società ma che, al contempo, siano spesso vittime di violenza, soprusi e violazioni dei propri diritti umani. Siamo consapevoli che il futuro dell’Africa dipende dalle bambine e dalle donne.

Ma perché una persona dovrebbe sostenere il progetto?
Per due ragioni. La prima è data dalla la voglia di essere coinvolti in una iniziativa comune che aiuterà a prendere coscienza di temi dei quali si ragiona solo dal punto di vista emotivo e raramente in modo concreto. Le nostre storie mostreranno la via possibile, la forza e la perseveranza di queste bambine e donne. In secondo luogo, diventando produttori dal basso di #dallapartedinice daremo vita ad una comunicazione che responsabilizzerà l’opinione pubblica italiana sulla condizione femminile in Africa. Ci rivolgeremo anche a chi ha una idea stereotipata di questo continente complesso, che pensa solo al bambino con il moccio al naso e la pancia gonfia. L’Africa è molto altro e noi lo racconteremo. Ci rivolgeremo anche a chi vuole vivere da turista queste zone e grazie al nostro storytellingpartirà con una coscienza e una consapevolezza diverse. Inoltre se guardate alla rete di partner, vedrete un’unione di tante organizzazioni per un progetto comune.


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