Cedu, la libertà di stampa e di satira va rafforzata nei periodi elettorali

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La libertà di stampa va rafforzata nei periodi elettorali. E in caso di discorsi politici e di questioni di interesse pubblico va garantita una libertà ancora più ampia, che include satira e parodia. Lo ha chiarito la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) con la sentenza Grebneva e Alisimchik contro Russia.
di Marina Castellaneta*

La libertà di stampa va rafforzata nei periodi elettorali. Non solo le eccezioni alla libertà di espressione devono essere interpretate restrittivamente, ma è necessario garantire una libertà ancora più ampia, che include satira e parodia, nel caso di discorsi politici e di questioni di interesse per la collettività. Lo ha chiarito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Grebneva e Alisimchik contro Russia depositata il 22 novembre con la quale Strasburgo ha condannato la Russia per violazione della libertà di stampa garantita dall’articolo 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo.
A rivolgersi alla Corte, l’editrice e la giornalista di un settimanale che, durante il periodo delle elezioni alla Duma, avevano pubblicato un’intervista satirica e un’immagine che ritraeva il corpo di una donna avvolta in una banconota e il volto di un candidato, procuratore della regione di Primorskiy. La giornalista e l’editrice erano state condannate in sede penale a una multa di 820 euro per ingiuria aggravata.
Una condanna che non ha convinto affatto Strasburgo, che ha respinto le obiezioni del Governo secondo il quale andava tutelata la morale pubblica colpita anche dalle espressioni offensive e dall’uso dello slang. Chiarito che le limitazioni alla libertà di stampa vanno interpretate restrittivamente a maggior ragione nel caso di pubblicazioni che hanno al centro la politica, la Corte ha precisato che se certo il linguaggio offensivo non è protetto dall’articolo 10 della Convenzione quando raggiunge un livello di gratuita e volontaria denigrazione e quando ha il solo fine di insultare, l’uso di frasi volgari, in sé, non è decisivo, però, per ritenere che un articolo sia offensivo perché talune frasi possono essere necessarie per motivi stilistici.
D’altra parte, osserva la Corte, lo stile è un componente della comunicazione perché è una forma di espressione e va protetto allo stesso modo del contenuto. La libertà di stampa, poi, copre anche il ricorso a un certo grado di esagerazione e provocazione, con la conseguenza che quando è in gioco la libertà di stampa il margine di intervento e di apprezzamento degli Stati va limitato. Senza dimenticare, poi, che la libertà di stampa è «particolarmente importante nel periodo che precede le elezioni» ed è così necessario che «le opinioni e le informazioni di ogni genere circolino liberamente».
È vero che nell’immagine e nell’intervista a un autore di satira si faceva un parallelismo tra il procuratore regionale e una prostituta, ma era evidente il carattere provocatorio che non era certo equiparabile a un attacco gratuito, tanto più che non si richiamava alcun aspetto della vita privata. Al contrario, l’intervento satirico e la distorsione della realtà – che è un elemento essenziale della satira e della parodia – si inserivano in un contesto generale in cui si discuteva del sostegno economico e politico ad alcuni candidati piuttosto che ad altri.
E la Corte bacchetta le autorità nazionali che non hanno tenuto conto del contesto, estrapolando l’immagine e le singole espressioni, senza valutare l’interesse della collettività e il fatto che si trattava di argomenti di interesse generale. Così, le autorità nazionali hanno sbagliato perché non hanno preso in considerazione la circostanza che si trattava di una figura pubblica (seppure non un politico), con la conseguenza che la persona al centro dell’articolo doveva mostrare una maggiore tolleranza.
I giudici nazionali, poi, non hanno effettuato alcun bilanciamento tra i diversi interessi in gioco e non hanno considerato che la libertà di espressione è essenziale per una società democratica. Così, accertata la violazione della Convenzione, la Corte, ribadito che una condanna in sede penale è in sé un deterrente per la libertà di stampa, ha imposto allo Stato in causa di versare 920 euro per i danni patrimoniali e 3mila euro a ciascun ricorrente per i danni non patrimoniali.

*Marina Castellaneta è professore associato di diritto internazionale


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