Ma le donne credono nella differenza?

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Appena ho saputo della elezione di Donald Trump prima di un qualsiasi pensiero, ho provato una sgradevole sensazione, come se il mondo fosse caduto in preda ad una misteriosa malattia. Naturalmente subito dopo, sono cominciate le interpretazioni razionali. La crisi economica, la delocalizzazione delle fabbriche, la paura del terrorismo e dell’immigrazione, la totale sfiducia nelle classi dirigenti: politiche, finanziarie, intellettuali, dell’informazione, queste erano cose comprensibili. Quello che, stranamente, non mi è venuto in mente è che avevano perso le donne. Io certamente avevo desiderato che Hillary divenisse la Presidente soprattutto perché donna, ma non ho pensato che non l’avessero votata per questo. Quel tempo, nel campo democratico, è finito. Naturalmente, in questo campo ci sono non solo le famiglie socialiste e progressiste ma anche i popolari europei, i conservatori inglesi, i repubblicani americani che non volevano appoggiare (e qualcuno ha resistito fino alla fine) il nuovo Presidente.

Mi ha fatto però riflettere un articolo di Ida Dominjanni che sostiene due cose interessanti. Una è che bisogna andare oltre la questione dell’impoverimento dei ceti medi ormai acquisita e pensare al motto di Donald Trump, l’America grande di nuovo, torni Superpotenza. Io in verità intreccerei i due dati l’incertezza economica ed i sogni di rivincita pericolosamente insieme. Il secondo è che la vera forza di Hillary, e cioè il suo essere donna e il desiderio di tante di vedere una donna Presidente, in realtà è obsoleto perché, per quanto riguarda questo aspetto, la tendenza è per una società postgender, in cui la dualità uomo-donna in qualche modo sfuma. Può darsi che Dominjanni esageri la portata numerica di questa tendenza ma è certo che essa esiste e certo è molto diffusa l’idea dei diritti individuali come unica garanzia di libertà.

Se rimaniamo esclusivamente in questo campo le donne o ne hanno meno o li hanno uguali, o sono inferiori o sono identiche, sfuma la differenza che è la grande risorsa che mettiamo in gioco da quando siamo entrate nello spazio pubblico. Non credo che Clinton potesse fare di più, ostentare cioè la sua femminilità, non è di questo che stiamo parlando. Il problema è verso quale mondo stiamo andando stretto tra egoismi nazionalistici, paura e desideri di grandezza da un lato e dall’altro, in quello che meno ci dispiace, la solitudine di tante e tanti appesa alla luce dell’ultimo gadget per comunicare. È uno scenario pessimistico ma verosimile che fa orrore a molti, svegliarsi dall’incubo è sempre possibile e soprattutto è necessario.

Da cheliberta


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