La Clinton alla Casa Bianca sarà la giovane idealista del ’72 o la fredda calcolatrice di oggi?

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Sono ormai iniziate le ultime 24 ore nella frenetica campagna per la Casa Bianca negli Stati Uniti. Sulla pista dell’aeroporto di Philadelphia, aspettando Hillary Clinton che ha santificato la domenica pregando nella Chiesa nera di Gemantown Mount Airy, il suo braccio destro per la comunicazione Jennifer Palmieri trasmette ottimismo:” E’ in corso un’affluenza storica alle urne, in particolare da parte degli elettori ispanici che ci fa credere di essere in vantaggio.”. Poi aggiunge una battuta: “Così se vinceremo e l’anno prossimo andremo al G7 di Taormina io potrò andare finalmente andare a visitare Campobasso, la città da dove era emigrata la mia famiglia.” Hillary ha adottato lo slogan “stronger together”, più forti se uniti.” L’inclusione delle minoranze era una sua giovanile ispirazione quando a vent’anni era andata in Texas per spingere latini e neri durante le presidenziali del 1972.

Quell’idealismo giovanile ora si è unito alla convinzione che il Partito democratico possa cavalcare la tendenza storica demografica usando crescita delle minoranze e riforma dell’immigrazione per diventare forza egemone del Paese. Subito dopo Clinton è venuta a Philadelphia e oggi tornerà in Michigan perché la base elettorale dell’asinello ha sempre posato sulla classe lavoratrice, i colletti blu e gli operai, adesso tentati dal populismo di Trump. Il problema è che la globalizzazione e i commerci internazionali hanno penalizzato la “rust belt” americana, facendo fuggire all’estero i posti di lavoro.  I democratici sono sembrati complici di questo fenomeno e Donald ne ha approfittato, promettendo di denunciare i trattati internazionali e costringere le multinazionali a riaprire le fabbriche in America. Forse è solo una fantasia perché l’evoluzione della storia non si ferma con le parole ma anche Bernie Sanders durante le primarie ha usato questa retorica costringendo Hillary a cambiare posizione. Molti però pensano che la sua sia solo una strategia elettorale; ora dice di essere contro i trattati commerciali tipo la Trans Pacific Partnership ma, una volta alla Casa Bianca, li rimetterà in moto, magari con  qualche modifica cosmetica per sostenere di aver mantenuto gli impegni elettorali. La sua visione è globalista nel cuore, non ostile al mondo della finanza e all’establishment sfidato da Trump. Questo alimenta i sospetti sul fatto che la candidata abbia deciso di far l’ultima tappa in questo Stato che è ancora in bilico. Lo show di ieri sera a Cleveland non aveva solo lo scopo di usare il potere di attrazione di una stella del basket come Lebron James ma soprattutto di mobilitare la comunità nera a votare per lei come aveva fatto per Obama otto e quattro anni fa. Certo Hillary non può aspettarsi l’affluenza generata dal primo Presidente nero degli Stati Uniti ma ha bisogno di arrivarci vicino per vincere e ricevere un mandato solido per riunificare il Paese dopo le proteste e le violenze seguite agli scontri di Ferguson.

Lo stesso discorso riguarda la North Carolina che Clinton vuole vincere non solo perché le garantirebbe la Casa Bianca ma anche perché rappresenta il volto nuovo degli Stati Uniti in trasformazione economica e demografica, giovani non razzisti, più pronti a sfruttare le opportunità della tecnologia digitale.  che lei vorrebbe guidare verso un uovo secolo di supremazia globale. Magari anche allargando la riforma sanitaria di Obama verso il modello di un sistema nazionale e offrendo l’istruzione universitaria nazionale gratuita per sedurre i millennials recalcitranti.  La politica non è stata al centro del dibattito a parte i sospetti per l’influenza russa sulle elezioni attraverso gli hacker o le polemiche su Bengasi e la sicurezza nazionale compromessa dallo scandalo delle mail. La visione globalista di Hillary, però, non sarebbe completa senza due punti fermi del suo progetto: primo, confermare e rafforzare le alleanze, a differenza di Trump che ha messo in dubbio l’utilità di Nato e Ue; secondo, essere più dura di Obama. In campagna non ha potuto marcare troppo le differenze dal Presidente o urtare i giovani pacifisti innamorati di Sanders ma è noto che in Siria lei avrebbe voluto la no fly zone per i rifugiati e forse un impegno di terra per rovesciare Assad prima che l’Isis si affermasse.

Questo è il vero dilemma se vincerà quale Hillary si siederà nell’ufficio Ovale? La giovane idealista del 1972 o la fredda calcolatrice di oggi? Entrambe, forse.  Ma alla fine per capire meglio chi vincerà è necessario verificare che cosa succede nei nove Stati decisivi  per il voto. La media dei sondaggi di RealClear Politics dà a Clinton solo 1,7 punti di vantaggio con un prospetto che segna 47% per Hillary e 45,3% per Trump.  A favore di Clinton potrebbe andare la significativa percentuale di partecipanti al voto anticipato, quasi un elettore su cinque, grazie al capillare sforzo di mobilitazione del partito alla base; per Trump può giocare la conquista di fasce di elettori rimasti incerti fino all’ultimo momento.  Oltre agli Stati da tempo contesi in questi giorni i candidati non hanno inoltre dato per persi altri voti che potrebbero alimentare la suspence: Trump dal Visconsin al Nevada, Clinton dalla Iowa alla Georgia. Quanto alle tematiche, Trump viene premiato sull’economia, Clinton sulla leadership e la politica estera.


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