Tra Hillary e Trump a perdere è la democrazia

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L’ennesimo scontro televisivo tra i due pretendenti alla Casa Bianca, Hillary Clinton e Donald Trump, ha evidenziato l’usura del metodo di confronto democratico in auge negli Stati Uniti: il dibattito diretto “via etere” e sulla Rete si infarcisce di colpi bassi, di atteggiamenti studiati e riprovati con degli sparring partner; il tutto teso ad evitare gli argomenti concreti che interessano gli elettori. Se il sistema delle Primarie per scegliere il leader nei due campi opposti tiene ancora, quello del confronto-scontro mediatico si impoverisce sempre di più e sconfina nel gossip, nelle maldicenze, nelle ipocrisie e in un fiume di “false verità”. A perdere così è proprio la Democrazia. Quella praticata sul territorio, nei dibattiti con le persone reali, dove i candidati sono costretti a fornire risposte inequivocabili e concrete sui mali della società e sulle inquietudini dei vari settori sociali.

Ma allora può il sistema democratico odierno e in futuro basarsi sul metodo di battaglia politica solo attraverso i media e il Web? Abbiamo ormai constatato che rendendo “virtuale” lo scontro tra idee contrapposte si rischia di infangare e di suscitare il ventre dell’elettorato, tutto orientato a sua volta a confrontarsi con contumelie e false notizie sui Social Network, a scapito della riflessione sui contenuti propri della campagna elettorale.

I media, tradizionali e in Rete, sono espressioni di alcuni grandi gruppi economici, di alcune corporation, che oggi dominano i mercati mondiali oltre che determinano le fortune delle Borse affari. Sono loro che orientano spesso le abitudini e le scelte in tutti i campi dell’opinione pubblica. Anche se, grazie ai Social Net si può vivere oggi uno spazio particolare di libertà di espressione, in realtà i casi di cronaca legati al cyberbullismo o all’amplificazione degli atti di violenza dei fondamentalisti come della criminalità comune, ci confermano la loro pericolosità e l’invasività diffusa.
I grandi temi dunque restano in secondo piano.

Per l’opinione pubblica è forse più importante sapere se Trump è un maschilista, abituato a pronunciare frasi sessiste e usare le donne come fossero oggetti, oppure capire come è stato possibile che un tycoon come lui abbia fatto fortuna costruendo palazzi e avviando affari che poi sono andati in crisi e che ha eluso per oltre 10 anni il fisco, che invita a non pagare le tasse perché troppo esose, che ha intrattenuto rapporti commerciali con alcuni stati  ritenuti “canaglia” dalle leggi americane, che vede negli islamici e negli immigrati tutto il male del mondo e nella Russia di Putin un modello di politica estera?

Ma anche l’altra parte non è esente da interrogativi: è fondamentale conoscere le decine di migliaia di mail private della Clinton, ritenute ininfluenti dalla FBI, sapere se ha rapporti stretti con l’establishment affaristico di Wall Street e come mai ha sempre difeso le “scappatelle” sessuali del marito Bill, oppure perché da Segretario di stato di Obama avallò la politica di apertura verso tutti gli stati arabi e si adoperò per creare le condizioni di instabilità del Medio Oriente?

E quali sono i programmi in tema di sicurezza sociale, occupazione, sviluppo economico, tutela ambientale, accesso allo studio e all’assistenza sanitaria, dei rapporti con l’Unione Europea in crisi d’identità e quei paesi arabi che finanziano più o meno occultamente i fondamentalisti islamici, oltre alla spinosa questione dell’enorme debito federale gran parte del quale nelle mani sapienti dei cinesi e degli stessi potentati arabi?

Se si sta alle cronache di questi ultimi mesi, contano di più lo stato di salute, anche mentale, le frequentazioni sessuali, la “fisicità” dei contendenti (“rifatti” o meno, capelli impiantati o colorati ad arte, pesi corporei, ecc.), alimentando una spirale colossale di giudizi, dicerie, bassezze di ogni genere sui Social Net e sulle pagine anche di autorevoli organi di stampa.

L’importante, insomma, per il cosiddetto “lato oscuro” del potere è mettere in secondo piano gli argomenti più critici e “immanenti” (che vincano i democratici oppure i repubblicani), soprattutto su come affrontare la crisi senza sbocchi del sistema neo-capitalistico liberista, diffondendo una grande cortina fumogena sulla superficie immaginifica del potere politico, quello che mette tutti sullo stesso piano le élites e il 99% del popolo. Si sollecita così la parte subliminale dei comportamenti di massa: siamo tutti fedeli o infedeli, tutti cerchiamo di pagare meno le tasse, tutti vorremmo rifarci parti del nostro corpo offeso dall’avanzare dell’età, tutti siamo delusi dalla classe politica di qualsiasi colore, tutti siamo preoccupati di perdere qualche diritto a favore degli immigrati, dall’occupazione all’assistenza, tutti abbiamo paura delle violenze e della criminalità.

In questo stravolgimento delle priorità, sia i media sia le organizzazioni partitiche hanno le loro responsabilità, come anche l’uso massiccio e anarcoide delle nuove tecnologie in Rete. E trattandosi della più importante e potente democrazia del mondo che fra poche settimane va a scegliere il suo nuovo “Comandante in capo” per i prossimi quattro anni, le preoccupazioni per tutti noi possono solo crescere esponenzialmente.

Infine, una sorta di nota di merito per noi italiani. Il confronto-scontro tra Hillary e Trump in un certo senso lo abbiamo già vissuto per oltre un ventennio dai tempi della “discesa in campo” di Berlusconi, cui il tycoon americano si ispira chiaramente. Lo abbiamo già metabolizzato, anche se la deriva politica impressa da quel metodo è ancora in auge. Un dejà vu che ci permette, comunque, d’ironizzare sul livello davvero mediocre del dibattito politico negli States; ma che deve porci l’interrogativo categorico su come affrontare la crisi del sistema democratico così come si è andato evolvendo negli ultimi decenni, specie in questa situazione generale di crisi inesorabile.

Purtroppo, non vale il detto popolare “mal comune, mezzo gaudio”: certo, siamo tutti dentro alla stessa pentola in ebollizione, ma la ricetta si è persa e i commensali sono agitati per la troppa fame e l’attesa. Prima che la pentola scoppi e gli ospiti si ribellino contro lo chef, occorrerà correre ai ripari. Tutti, indistintamente da quale parte del pianeta ci si trovi.


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