Musica e balletti: orgoglio nazional popolare. “Le bal” di scena sino a fine ottobre alla Sala Umberto di Roma

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La vita come colonna sonora e passo di danza. Con sentimenti adamantini e inestirpabile ardore nazional-popolare: quindi ‘a tempo’ di boogy- woogy, cha -cha -cha, mambo, twist e  ballo del mattone (ma l’età non aiuta). Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla (epocale) notizia del crollo delle Torri Gemelle, l’Italia canterina, e  reattivamente ballerina, scandisce sbarazzina  i tempi del proprio inaffondabile ‘stellone’, della propria capacità (nonostante tutto) di ricominciare, riesumare i suoi  “due soldi di speranza” e consapevole che, alla fin fine, “c’eravamo tanto amati”, ben recidivi nell’assioma “l’amore è eterno sinchè dura”.

Di  scena al Teatro Sala Umberto di Roma (con successiva tounée invernale), “Le Bal” è una sorta di carrellata, rimembranza, piano sequenza    unico nel suo genere. In cui     musica e danza si fondono come in perenne metamorfosi, trasformando i ballerini in veri e propri attori. Ai quali, rigorosamente (convenzionalmente) vietato l’uso della parola, è  invece affidato un eloquente   linguaggio del corpo- al fine di  evocare, per atmosfere e refrain,  le tante peripezie e poche godurie  che hanno irrorato il fu-(retorico) amor di Patria per quel lasso temporale contemplato dalla messinscena.

Tratto da un’idea di Jean-Claude Penchenat (cui il cinema reca testimonianza con il delizioso “Ballando Ballando” di Ettore Scola: da rivedere) il rinomato ‘format’ francese, capillarmente adattato alla realtà italiana, vede la scena aprirsi all’interno di una balera che diventa lo specchio di un  Paese, essenzializzato nella sua passione (un po’ per celia, un po’ per non morire) nei rinomati elementi di musica e danza, di cui Sanremo e la canzone napoletana sono stati i maggiori ‘vati’ e ‘vettori’

E quindi, una verosimile  cartina di tornasole delle reazioni degli ‘indigeni italici’, (resilienti e resistenti ad ogni avversità (specie se ‘spoliticizzati’ di livore ideologico), qui  rappresentati da interpreti di  formidabile  espressività, ‘operativi’ e  impenitenti in oltre sessant’anni di Storia.
Originale e suggestivi quanto basta, “Le bal”   intreccia  ai balli e le canzoni più gettonate  ed orecchiabili, come in un grande- tuffo nelle micro vicende collettive (“che ogni coppia di danz-attori affronta o subisce a suo modo”), punteggianti un mosaico di  vite che si intrecciano alla perfezione, tra bombardamenti e attentati terroristici, e-ancor prima- per la ricostruzione e il boom economico.

La scenografia, semplice, ma arricchita da giochi di luci, è colorata da impeccabili costumi che  cambiano direttamente sulla scena, trasmutando a seconda delle necessità e delle situazioni- costantemente dinamizzate.

Garantito mixage, infine,  di divertimento e poesia che affida l’incantesimo (semplice, soffuso) del racconto ad una ‘liquida’ esposizione della narrazione collettiva. Sino a  farci riflettere su un condiviso passato di emozioni, palpitazioni, speranze (realizzate o deluse) che il ‘tappeto soloro’ restituisce quale piacevole ed emozionante trappola condivisa. Dalla quale,  ci assicurano alcuni testimoni in sala,  non si vorrebbe più venir via. Mentre a noi capita di ricordare lo stentoreo malessere di Pasolini (snobismo intellettuale?) quando ammetteva che “certe canzoni, certe melodie hanno   indubbiamente un ricattatorio valore poetico”

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“LE BAL” DI JEAN-CLAUDE PENCHENAT PRESENTATO DA: VIOLA PRODUZIONI s.r.l.

REGIA: JEAN-CLAUDE PENCHENAT

CON: GIANCARLO FARES, SARA VALERIO, ALESSANDRA ALLEGRINI, RICCARDO AVERAIMO, ALBERTA CIPRIANI, VITTORIA GALLI, ALICE IACONO, MATTEO LUCCHINI, FRANCESCO MASTROIANNI, DAVIDE MATTEI, MATTEO MILANI, PIERFRANCESCO PERRUCCI, MAYA QUATTRINI, MICHELE SAVOIA, PATRIZIA SCILLA, VIVIANA SIMONE

SCENOGRAFIA: MARCO LAURIA  COSTUMI: FRANCESCA GROSSI  COREOGRAFIE: ILARIA AMALDI LIGHT DEGNER: LUCA BARBATI  SOUND DESIGNER: GIOVANNI GRASS.


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