Norberto Bobbio e gli errori dei 5 Stelle

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“O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia? La democrazia ha vinto la sfida del comunismo storico, ammettiamolo. Ma con quali mezzi e con quali ideali si dispone ad affrontare gli stessi problemi da cui era nata la sfida comunista?”. Con queste parole Norberto Bobbio descrisse quel singolare interludio della storia che si dipana fra il crollo del Muro di Berlino e gli anni immediatamente successivi, quando si iniziò a blaterare di “fine della storia”, a illudere e a illudersi che il modello occidentale, senz’altro più democratico di quello sovietico ma non per questo meno ricco di ingiustizie, avrebbe dominato indisturbato per decenni. Si parlava di “sereno vento dell’Ovest”, si credeva di poter cristallizzare una situazione eccezionale e di poter trasformare questo stato di eccezionalità in una condizione permanente della politica e della società affacciata sulle due sponde dell’Atlantico, senza rendersi conto che la storia è un flusso costante, sempre in tumulto e sempre animato da un’instancabile curiosità, da una sete di conoscenza e di novità che lo porta a sconvolgere i fragili equilibri del nostro vivere quotidiano e a porci davanti nuove sfide.

Parto da Norberto Bobbio e da questa sua riflessione liberale sul destino di una comunità e di una parte sconfitta dalle vicende dell’89 per rivolgermi non tanto al M5S, cui pure è dedicato quest’articolo, visto ciò che sta accadendo in questi giorni della Capitale, quanto a tutti coloro che stanno brindando, pregustando già il proprio ritorno al potere e alle antiche pratiche spartitorie.
O illusi, credete proprio che un eventuale fallimento della giunta Raggi annulli le ragioni socio-economiche per le quali quest’avvocatessa di neanche quarant’anni, circa tre mesi fa, ha vinto con quasi il 70 per cento? Credete davvero che la rabbia, lo sconforto, il disincanto, la disillusione e la disaffezione verso la cosa pubblica e la politica nel suo insieme, che della cosa pubblica dovrebbe essere la sublimazione e il luogo della sintesi tra opposte visioni, siano già svaniti a causa del pressappochismo con cui la nuova giunta sta affrontando problemi serissimi? E credete davvero che la sete di giustizia, di uguaglianza, di prospettive e di un futuro meno incerto e precario, su cui dibattono a livello globale Piketty e Rosanvallon, Lizzie Warren e Bernie Saunders, Stiglitz, Atkinson e molti altri ancora, credete davvero che questo sentimento di rivendicazione furiosa, in quanto l’esclusione sociale dei più deboli ha toccato vette estreme, svanirebbe in seguito a un’eventuale implosione del M5S?

Sappiamo che siete un insieme di vizi con qualche virtù per sbaglio, sappiamo tutto di voi e delle vostre biografie, delle vostre utopie giovanili e dei vostri tradimenti in età adulta, del vostro avere il cuore a sinistra e il portafoglio a destra, della vostra resa intellettuale e culturale, della vostra rassegnazione allo status quo, del vostro adagiarvi su convinzioni errate che da qualche anno stanno iniziando a crollarvi addosso, ma ciò che non sappiamo, e di cui non riusciamo a capitarci, è come possiate non rendervi conto che voi non siete minimamente presentabili.

Perché se pure dovesse crollare la giunta Raggi, di sicuro, Roma subirebbe un altro commissariamento, forse ancora più tragico di quello andato in scena nei mesi del prefetto Tronca, ma i partiti invischiati in Mafia Capitale e in un’altra ridda di scandali, quelli no, non potrebbero tornare, in quanto nessuno riprenderà a fidarsi di loro fino a quando non avranno ricostruito una classe dirigente all’altezza e non si saranno resi nuovamente credibili con scelte concrete e tangibili di discontinuità rispetto al passato.

Forse se ne uscirebbe a sinistra, magari con un grande progetto civico condotto dalle personalità più eminenti e di spessore della città. Forse, e temo sia l’ipotesi più plausibile, oltre che ovviamente drammatica, se ne uscirebbe con un populismo di destra in salsa lepenista, con il solito camuffamento fasullo da società civile impegnata che altro non è che una mano di vernice sull’impresentabiltà acclarata di quanti riprenderebbero a tirare i fili nell’ombra. Una cosa, tuttavia, è certa: non ci sarebbe il vuoto, in quanto la politica ha l’“horror vacui” e il vuoto non lo concepisce proprio come concetto, ma, con ogni probabilità, non staremmo meglio di come stiamo oggi (che stiamo male, fra autobus che non passano, immondizia sparsa per le strade della periferia, topi a passeggio e altre vergogne a cielo aperto che invitiamo il sindaco Raggi ad affrontare al più presto e al meglio delle sue possibilità).

E qui veniamo al M5S perché se i loro avversari sono quello che sono, anche loro non hanno poche responsabilità nel disastro che si sta delineando con le dimissioni della Raineri e dell’assessore Minenna nonché dei vertici di alcune importanti partecipate pubbliche.

La colpa principale dei 5 Stelle, a mio giudizio, sta nel fatto che essi non hanno ancora capito cosa vogliano essere da grandi: se aspirino a diventare un partito politico a tutti gli effetti o desiderino restare il gruppo di pressione, un po’ rompiscatole ma comunque efficace, delle origini.
Il guaio è che questa discussione, che Pizzarotti chiede da mesi, naturalmente isolato e inascoltato, non è possibile in un soggetto politico che aspira a governare l’Italia senza dotarsi nemmeno di uno straccio di statuto, di regole interne chiare e comprensibili, di una visione della società e del mondo intellegibile e riconducibile a uno dei due schieramenti storici della contesa elettorale globale e, aspetto fondamentale, di una classe dirigente selezionata con criteri un tantino più seri dei video di presentazione pubblicati sul Sacro Blog.

Non c’è dubbio, infatti, che il M5S abbia avuto il merito storico di condurre in Parlamento tanti ragazzi in gamba, preparati e animati da ottime intenzioni che senza questo bizzarro soggetto politico non avrebbero mai avuto alcuna possibilità di sfondare il muro di cemento armato eretto dai partiti per impedire che qualunque cittadino non inserito nelle loro incatramate camarille potesse affacciarsi e arrecare disturbo a equilibri ormai consolidati e, talvolta, ai limiti dell’illecito: non c’è dubbio ed è un merito enorme, del quale bisogna dar loro atto e ringraziarli, comprendendo le ragioni profonde per le quali è accaduto tutto questo.

Allo stesso modo, non c’è dubbio che senza di loro alcune battaglie importanti non sarebbero state compiute, che non sarebbe stato proposto Rodotà alla presidenza della Repubblica, che Freccero non sarebbe consigliere d’amministrazione della RAI, che la legge sul reato odioso di depistaggio nelle vicende stragiste che hanno insanguinato gli anni segnati dalla Strategia della tensione sarebbe ancora in alto mare, che un po’ di personaggi che non avrebbero mai dovuto vedere il Parlamento nemmeno col cannocchiale a causa dei loro carichi giudiziari non sarebbero stati assicurati alle patrie galere e che proposte sacrosante come il reddito di cittadinanza non si sarebbero fatte strada nell’opinione pubblica: gliene va dato atto e, specie per la mia generazione, è qualcosa di enorme; da qui il cospicuo consenso di cui godono fra i ragazzi sotto i trent’anni.

Ciò detto, è altrettanto vero che le poche regole che hanno sono assurde: dogmi, tabù e scempiaggini che costituiscono la negazione stessa della politica.

Senza contare quest’assurdo, pervicace e altezzoso rifiuto di ogni forma di alleanza, quest’offensivo accostare ogni avversario a vicende criminali, questo non saper riconoscere il buono che c’è negli altri quando molti di noi si sono sforzati di andare al di là dei propri iniziali pregiudizi e di cogliere gli aspetti migliori dell’universo grillino, questa cattiveria gratuita dispensata a piene mani, con somma irriconoscenza, contro chiunque sia venuto prima, come se essere anziani o avere un’’esperienza politica, sindacale e intellettuale di tutto rispetto fosse una colpa, e infine questa sorta di anti-cultura che li porta, un po’ renzianamente, a diffidare e a puntare spesso il dito contro quell’insieme di personalità di alto livello che non nutre nei loro confronti alcuna antipatia ma ogni tanto si permette di esprimere qualche critica costruttiva e di elargire qualche utilissimo consiglio non richiesto.

In conclusione: il buon Di Maio, mettendosi al lavoro con la scaltrezza che gli è propria e tenendo saldo il timone di un’avventura amministrativa che sta franando assai prima del previsto, potrà anche riuscire nella momentanea impresa di trovare qualche nome di valore in grado sostituire i dimissionari e restituire un po’ di ossigeno all’asfittico primo cittadino della Capitale; tuttavia, se egli stesso non avrà il coraggio di guardarsi allo specchio e di rendersi conto che questa linea corsara e garibaldina poteva andare bene all’inizio (e, a dire il vero, era particolarmente fastidiosa anche allora) ma ora è non solo infruttuosa ma addirittura paralizzante e controproducente, questa boccata d’aria si rivelerà più che mai effimera.

O il M5S avrà la saggezza di aprirsi in tutti i sensi, di smetterla con gli slogan da due soldi scanditi nelle piazze delle origini, quando il loro assalto al cielo sembrava poco più di uno spettacolo di Grillo portato gratuitamente fuori dai teatri, e riuscirà a trasformarsi in un architrave civico in grado di coalizzare intorno a sé e al proprio notevole consenso le energie migliori presenti nella società oppure, andando avanti con questa guerriglia sotterranea, che alla fine esplode comunque, producendo danni inenarrabili proprio perché non è stata ricondotta per tempo dentro gli argini di una sana discussione congressuale alla luce del sole, continuando così, l’implosione è soltanto rinviata. E sarebbe una tragedia e una sconfitta per tutti, in quanto nessun’altra forza politica, al momento, appare in grado di convogliare l’oceano di disappunto che si è affidato al grillismo in un progetto di governo capace di coniugare attenzione agli ultimi e slancio entusiasta verso la modernità e il futuro.

Rimarrebbero solo innumerevoli domande inevase, mostruose speranze di cambiamento tradite, richieste d’aiuto e di coinvolgimento inascoltate e l’amara sensazione collettiva che la politica, almeno per come l’abbiamo intesa nei decenni successivi al ’45, non esista più o, peggio ancora, non serva più a nulla. E perderemmo tutti, a cominciare da coloro che oggi si fregano, stupidamente e meschinamente, le mani davanti a un avversario in difficoltà.


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