Omicidio Emmanuel Namdi. Cangini: “I fatti sono fatti e i fatti non corrispondono alla retorica”

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Riceviamo e pubblichiamo l’editoriale (come da richiesta di diritto di replica) di Andrea Cangini, Direttore Responsabile QN Quotidiano Nazionale in risposta al Coordinamento dei Cdr che lo aveva criticato

La realtà non conta, non conta nulla. Quel che conta è poter esibire le proprie granitiche certezze, innestare i propri vessilli ideologici, rendere onore ai propri inflessibili pregiudizi. Ieri, a Fermo, hanno manifestato le sinistre ‘democratiche’ e la destra leghista. Tifo da stadio, ostentazione di fedi contrapposte che nulla hanno a che vedere con i fatti. I fatti, lo ribadiamo, sono semplici: un bullo di provincia, Amedeo Mancini, rivolge un epiteto razzista («scimmia africana») a una coppia di nigeriani di passaggio; i nigeriani giustamente si offendono; lui, Emmanuel Namdi, divelle un paletto e aggredisce Mancini; Mancini gli sferra un pugno; Namdi cade, batte la testa e muore. Per essere chiari, chi scrive simpatizza con il nigeriano, di cui comprende l’eccesso di reazione (umano, troppo umano). E non ha alcuna simpatia per l’italiano di cui disprezza l’arroganza del più forte. Ma i fatti sono fatti e i fatti non corrispondono alla retorica. Non in base alle ricostruzioni odierne, almeno. Non è stata, come si ostina a dire don Vinicio Albanesi, un’aggressione squadrista, né il povero nigeriano è stato «massacrato di botte». È stata una fatalità determinata da una violenza verbale che ha innescato una violenza fisica che ne ha scatenata un’altra. Farne un caso nazionale è sbagliato. Ma è accaduto. Il ministro dell’Interno, il presidente del Consiglio, il presidente della Camera, i partiti politici, le autorità più disparate: tutti hanno messo il cappello su questa triste storia. Tutti hanno sfruttato la vicenda, nessuno si è curato della verità. Una battaglia ideologica intrisa di spirito di fazione come è prassi in Italia. Una battaglia combattuta sulla pelle di due persone. Il fatto che ad essere rimasta viva sia una persona non certo ‘bella’ non rende meno sgradevole la messinscena. Fermo non è una città attraversata da rigurgiti squadristi, l’Italia non è un Paese particolarmente incline al razzismo. La grancassa antirazzista non serve a prevenire, ma semmai a fomentare quei sentimenti che si vorrebbero annientare. Un classico caso di eterogenesi dei fini. O, volendo, di profezia che si auto avvera. L’ha capito il sindaco della piccola Fermo, non l’hanno capito politici ben più blasonati di lui


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