Strage Orlando: non serve blindare i confini. L’odio è già tra noi

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L’ultima infamia riguarda le restrizioni nelle donazioni di sangue. Residuo di un pregiudizio legato all’antica epidemia di Aids, i gay non possono soccorrere i loro compagni feriti. E’ l’aspetto omofobo di gran parte della comunità americana che si aggiunge a un altro falso e drammatico problema: il proliferare delle armi che punta su un passato che è quasi preistoria, il diritto a difendersi in base al quinto emendamento datato 1789, quando c’era il far west. Dopo la strage di Orlando la lobby delle armi è tornata ad alzare la voce contro ogni monito del presidente Obama: “Sarebbe bastato un solo uomo armato per fermare l’assassino”, subito sostenuta da Trump che non vede l’ora di scagliarsi anche contro l’immigrazione. Ma è tutto sbagliato.
Omar Mateen non è arrivato illegalmente attraverso chissà quale frontiera, ma era nato 29 anni fa a New York. Piuttosto la strage è l’ennesima prova che non serve blindare i confini perché l’odio è già tra noi e soprattutto che sono sbagliate molte leggi legate alla sicurezza. Omar, come guardia giurata aveva già protetto edifici governativi, fino a quando l’Fbi si era messa sulle sue tracce, interrogandolo per ben tre volte sulle assidue frequentazioni della moschea sotto casa. Lo avevano rilasciato ma era sicuramente nella lista nera. E com’è possibile che un individuo così schedato possa acquistare una pistola e un fucile automatico?
Piuttosto bisognerebbe interrogarsi sull’ennesimo scontro di civiltà. E’ successo a Londra, in Francia, in Belgio: cittadini europei, cioè nati qui, che vivono la nostra cultura ma sono ubriachi della follia fondamentalista. Si calcola che soltanto negli Stati Uniti siano ottocento addirittura i cosiddetti terroristi “dormienti”. E non poteva, tornando a Omar, non creare allarme l’origine afghana del padre Seddique che ha sempre tifato, anche pubblicamente, per i talebani. Proprio pochi giorni prima del bagno di sangue al “Pulse” aveva diffuso un video in cui si mostrava in divisa e chiedeva la rimozione del governo di Kabul. Non è possibile che ci si accorga sempre dopo. La storia di Omar Mateen, lupo solitario, è piena di violenza: Sitora, la moglie uzbeka picchiata fino al divorzio, e poi il figlio portato in moschea, l’appello di Al Adnani, portavoce dell’Isis, a colpire i “crociati” per celebrare il Ramadan. Soprattutto quel padre così dichiaratamente amico di al Qaeda. Cioè di quei talebani che odiano musica e giochi, ossia la vita, quei talebani che i gay li buttano dalla torre, quei talebani che andiamo a combattere sulle loro montagne. E che invece sono così vicini a noi.


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