Settant’anni di orgogliosa Resistenza

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Se il 2015 è stato l’anno in cui abbiamo celebrato il settantesimo anniversario della Liberazione e di quella fase di lotta per la dignità del Paese nota come Resistenza e definita, con un tocco di lirismo, dal presidente Ciampi “il nostro secondo Risorgimento”, il 2016 è l’anno in cui ricordiamo un evento altrettanto importante e inscindibile dal primo: i settant’anni della Repubblica e del suffragio universale.
Conquiste democratiche, conquiste di libertà, conquiste straordinarie di una Nazione distrutta ma orgogliosa, ridotta in macerie, in lacrime, alla fame, eppure capace di eleggere un’Assemblea Costituente composta da personalità indimenticabili, le quali ci hanno regalato una Carta che saremo chiamati a difendere, con passione e orgoglio, nel referendum d’autunno.
Settant’anni di lotte, di speranze, di ideali, di grandi battaglie politiche e di tragedie; settant’anni di stragi, di mafia, di terrorismo, di violenza e di corruzione alle stelle ma anche settant’anni di poesia, di letteratura, di genialità, di progressi, di passi avanti un tempo impensabili, come il riformismo sociale e civile degli anni Settanta, e, infine, di benessere, di pace, di convivenza tutto sommato civile.
Settant’anni e il pensiero corre a Marisa Cinciari Rodano, prima donna a ricoprire la carica di vice-presidente della Camera, a Nilde Iotti, la prima donna presidente, alle ventuno costituenti che, prima del voto, si presero per mano, ai passi avanti compiuti in questi decenni sul decisivo fronte dell’emancipazione femminile e a come eravamo, in quell’Italia devastata nella quale bisognava ricostruire tutto daccapo, ricominciare da zero, ripartire e trovare la forza di tornare a vivere.
Settant’anni e un bilancio sostanzialmente positivo, senza tacere di alcuna stortura, di alcuna vergogna, di alcuna ingiustizia ma senza nemmeno far finta di niente al cospetto di un Paese che oggi fa parte del G7 e del G8 e ha una qualità della vita assolutamente invidiabile.
Settant’anni nei quali è cambiato in maniera incredibile anche il mondo dell’informazione, perdendo parte del lirismo e della potenza emotiva di allora, velocizzandosi, digitalizzandosi, trasformandosi e mutando radicalmente, e questo è uno dei pochi ambiti nei quali, tralasciando l’opinabile discussione sul valore delle singole testate, dobbiamo constatare che, oggettivamente, è venuta meno molta della libertà e dell’indipendenza dell’epoca; per non parlare poi della profondità di pensiero e d’analisi, dell’autorevolezza, della competenza e della capacità di tener testa al mondo politico che caratterizzava alcuni dei grandi giornalisti di quel tempo.
Spesso ci siamo domandati quale sarebbe stato il corso della storia se avesse prevalso la Monarchia e fossero rimasti i Savoia e siamo giunti alla conclusione che, con ogni probabilità, la stessa Costituzione sarebbe stata redatta in maniera diversa, senz’altro meno limpida e progressista; di sicuro, da convinti repubblicani, siamo dell’idea che questo Paese, finalmente libero da quel tipo di sudditanza, per quanto prigioniero di altre forme di vassallaggio non meno pervasive, abbia tratto benefici non secondari dal ricambio degli inquilini del Quirinale e da una struttura istituzionale priva di un’eredità imbarazzante come quella del fascismo e della sostanziale acquiescenza ai suoi misfatti.
Settant’anni, in un’Italia nella quale è cambiato praticamente tutto e si è perso, e questo è un male, quello spirito allegro, genuino, scanzonato e ingenuo che ci permise di sentirci una comunità dopo il dolore, le rappresaglie, l’odio e la barbarie, di tenderci la mano e di procedere insieme, tra infiniti dibattiti, scontri anche aspri ed accesi ma sempre contraddistinti da una passione autentica e, all’epoca, totale, costitutiva, capace di riempire e dare un senso a un’intera vita.
Settant’anni e un cammino che va avanti, che non si ferma, che lotta, che resiste, che cade, si rialza e si difende tenacemente, in questo mondo sempre più globale e invadente nel quale, a pensarci bene, al netto di tutti i nostri difetti e di tutti i nostri limiti, è ancora un orgoglio essere italiani.


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