Caso Mein Kampf-Il Giornale: ‘inferno è fecondo, si tratta di fare una scelta

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La scelta del Giornale di distribuire in edicola il “Mein Kampf” di Adolf Hitler, nell’edizione critica curata dallo storico Francesco Perfetti, non può e non deve essere celata dietro la retorica salvifica della narrazione del male assoluto, il libro dell’imbianchino era già disponibile praticamente ovunque, né ancor più banalmente protetta dietro la citazione di Bertolt Brecht e “Il Rogo dei libri”, l’olocausto pubblico delle parole, culto assoluto della censura nazista se usato in difesa del diritto al delirio dell’antisemitismo, è innegabilmente il paradosso patetico che si fa tenebra.
“L’antisemitismo non rientra nella categoria dei pensieri che sono protetti dal Diritto di libera opinione”, per la testata diretta da Alessandro Sallusti in un tempo di peste sempre fertile, radicato e impossibile da estirpare, è il momento di guardare altrove, forse lì dove appare l’uomo, tra i pensieri di  Jean-Paul Sartre, nel racconto di chi è in realtà l’antisemita, faccia a faccia con il Male: “È un uomo che ha paura. Non degli ebrei, certamente: ma di se stesso, della sua coscienza, della sua libertà, dei suoi istinti, delle sue responsabilità, della solitudine, del cambiamento della società e del mondo; di tutto meno che degli ebrei. È un codardo che non vuol confessarsi la sua viltà; un assassino che rimuove e censura la sua tendenza al delitto senza poterla frenare e che pertanto non osa uccidere altro che in effigie o nascosto dall’anonimato di una folla: uno scontento che non osa rivoltarsi per paura della sua rivolta.

Aderendo all’antisemitismo, non adotta semplicemente un’opinione, ma si sceglie come persona. Sceglie la permanenza e l’impenetrabilità della pietra, l’irresponsabilità totale del guerriero che obbedisce ai suoi capi, ed egli non ha un capo. Sceglie di non acquistare niente, di non meritare niente, ma che tutto gli sia dovuto per nascita – e non è nobile. Sceglie infine che il Bene sia bell’e fatto, fuori discussione, intoccabile: non osa guardarlo per timore d’essere indotto a contestarlo e a cercarne un altro. L’ebreo è qui solo un pretesto: altrove ci si servirà del negro, o del giallo. La sua esistenza permette semplicemente all’antisemita di soffocare sul nascere ogni angoscia persuadendosi che il suo posto è stato da sempre segnato nel mondo, che lo attende e che egli ha, per tradizione, il diritto d’occuparlo. L’antisemitismo, in una parola, è la paura di fronte alla condizione umana. L’antisemita è l’uomo che vuole essere roccia spietata, un torrente furioso, fulmine devastatore: tutto fuorché un uomo”.
L’inferno è fecondo, si tratta di fare una scelta, si tratta di essere responsabili, si tratta di rimanere uomini.


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