Se Ken Loach non esistesse bisognerebbe inventarlo

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A giugno compie 80 anni, ma nessun altro saprebbe fare un film come “I, Daniel Blake”, che asciutto com’è e senza fronzoli inonda di lacrime e applausi la platea di Cannes. Due anni fa proprio qui aveva annunciato il suo ritiro dal cinema. Allora facemmo un patto : non vado in pensione se non ci vai tu. Per fortuna, lo ha rispettato.

“I, Daniel Blake”, ancora una volta scritto con Paul Laverty, racconta il Calvario del Welfare in Gran Bretagna. Racconta la deliberata disfunzionalità di una burocrazia concepita per far restare poveri i poveri : un’arma politica. E lo fa attraverso un meraviglioso personaggio di finzione che è la sintesi di mille storie, di mille testimonianze dirette raccolte tra chi fa la fila alle Agenzie del Lavoro e alle Banche Alimentari. Alle Banche Alimentari si distribuiscono i pacchi di pasta, lo zucchero e le scatolette raccolte per beneficienza. I principali destinatari sono lavoratori in miseria.

Daniel Blake è un bravo carpentiere verso i 60, ma ha una cardiopatia, per i medici non può lavorare. Per la burocrazia invece sì, perché non è paralitico. Inizia perciò il suo Calvario tra i moduli per l’invalidità e quelli per l’indennità di disoccupazione, peregrinando tra i funzionari che gli comminano sanzioni se non dimostra di aver impiegato 35 ore la settimana (IPhone alla mano, altro che Selfie !) per cercare lavoro. Lavoro che non può fare.

Katie invece è la giovane madre single di due bambini, trasferita dall’assistenza da Londra a Newcastle, alla fame anche lei. Con Daniel nasce una toccante solidarietà, dividono il poco cibo, lui le aggiusta un cesso di casa, ma non riuscirà a impedire che si prostituisca per fame. Dopo l’ennesimo scacco, lui si ribella scrivendo sulla facciata dell’Agenzia per l’Impiego “Sono Daniel Blake, esigo un appuntamento d’appello per non  crepare di fame”, e la gente applaude mentre lo arrestano : “Dovrebbero farti una statua!”. Morirà d’infarto, e il suo testamento è il testo che si era annotato a matita per gli esaminatori: “Non accetto né faccio elemosina. Mi chiamo Daniel Blake. Sono un uomo, non un cane. Sono un cittadino. No more, no less, né di più né di meno”.

Loach con HuffingtonPost parla di “situazioni degne di Dickens”, nella sua Gran Bretagna industriale. E ricorda l’affondo “osceno”che la destra di casa sta conducendo contro le prestazioni sociali, diventate bersaglio prioritario di stampa e tv. Di quante cose non si parla nei nostri e nei loro Tg, tipo i contratti “a zero ore”, ultraflessibili, in cui resti a disposizione di un’azienda ma senza garanzia di lavoro effettivo. E’ curioso ma l’ultimo comunista ( trozkista, per l’esattezza ) del cinema mondiale detiene il record delle presenze in concorso, è a quota 13, dopo la Palma d’oro del 2006 e la sua “scoperta”alla Semaine de la Critique nel 1970.  E’ il caso di dire, viva Cannes !


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