Sara, una storia malata di ordinaria violenza

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C’è una bellissima canzone di Venditti dedicata a Sara. Ricordate? Una bambina che vuole tenersi il frutto di un amore bello ma proibito. Un’altra Sara è morta ieri non per amore, ma per odio, bruciata viva da un ragazzo – Vincenzo – poco più grande di lei che su Facebook si faceva chiamare “Vince McCojons”, che non accettava l’idea di essere respinto. Come se avesse diritti, come se fosse sua proprietà, e lei non potesse scegliere di stare magari con un altro ragazzo, meno ossessionato dalla gelosia. Potere, non passione. Ventidue anni, pulita, dolce. Morta come Fabiana, come Maria: anche loro bruciate.
L’orrore è ormai quotidiano. Lo stesso giorno un’altra giovane donna a Vicenza ha litigato con il marito, si è chiusa in bagno e si è impiccata. E anche un uomo, a Sondrio, si è impiccato dopo aver soffocato il figlio di sette anni. Perversione anche matura: a Lunghezza un cinquantenne ha sparato alla moglie in un bar. Cosa ci succede? E’ forse vero, come dicono gli scienziati, che talvolta il cervello non riesce ad espellere le scorie?

L’aspetto più inquietante è la mancanza di stupore, quest’assuefarsi alla violenza di ogni giorno. Certo, nel delitto della Magliana, c’è anche un altro aspetto che preoccupa: l’indifferenza (o forse la paura) di chi è passato senza fermarsi, il “farsi gli affari propri” sintomo di un egoismo ormai esasperato, senza capire che ci si può salvare tutti insieme, eliminando le “scorie” della società, appunto. Quel criminale faceva la guardia giurata, un lavoro che presuppone nervi saldi e non può arrivare a gesti così sconsiderati. Un momento d’indignazione, qualche maledizione spontanea sui social, e finisce lì, in attesa del prossimo dramma.
La violenza sicuramente riguarda tutto il mondo, vittime il 35 per cento delle donne, come testimoniano le ultime tragedie in India (una quindicenne stuprata e poi impiccata) e in Brasile (una sedicenne violentata addirittura, a turno, da trentatrè uomini). Probabilmente è vero, come è stato detto anche all’Onu, che la colpa è tutta delle diseguaglianze sociali, dove “la donna è costretta ancora in una posizione subordinata rispetto agli uomini”.
Un problema culturale, dunque, ma che da noi non è neppure spiegabile con l’ignoranza, come è stato fatto per l’orribile caso di pedofilia in Campania. Secondo i dati Istat, infatti, l’anno scorso il maggior numero di violenze sulle donne è avvenuto in tre regioni del nord: Lombardia, Piemonte e Toscana. E’ pur vero che il dramma non è sicuramente italiano (anche se fa impressione la cifra totale: quasi sette milioni di donne hanno subito violenza, fisica o sessuale). Sono storie malate di cui tutti, in fondo, siamo complici.


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