Primo Maggio: la Festa del Lavoro per un disoccupato è una fitta

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La Festa del Lavoro per un disoccupato è una fitta. Il 1 Maggio è come il Natale: splendido per chi ha una famiglia, pessimo per gli altri, che in quel giorno ne sentono ancora di più la mancanza.
Senza una politica industriale, il Paese naviga a vista. E il lavoro non si crea con gli sgravi per chi assume, ma programmando direttrici di sviluppo sostenibile che valorizzino le vocazioni dei territori. L’ultimo a fare uno sforzo in questa direzione fu Bersani nel 2006 con “Industria 2015”, quando da ministro dello sviluppo economico definì un piano articolato in linee strategiche per indirizzare la crescita del Paese.
Da allora sono 10 anni che s’improvvisa.
Mentre l’informatizzazione, che all’inizio rimpiazzava solo il lavoro ripetitivo, oggi è in grado di surrogare prestazioni sempre più complesse, espellendo migliaia di lavoratori da posti considerati fino a pochi anni fa sicuri (bancari).
Allora, niente più 1 Maggio?
Al contrario, dobbiamo continuare a festeggiarlo. Ma vorrei anche che in questo giorno – ogni anno – sindacati, imprenditori, docenti, giornalisti pubblicassero un “Quaderno bianco del Lavoro” con proposte e denunce, per fare il punto politico sul tema del lavoro. E incalzare  il governo a fare finalmente una politica industriale che individui e sostenga i settori dove la creazione di nuovi lavori è più promettente, raccordandola con la formazione universitaria.
Insomma, ci vuole buona politica per dare ai giovani concrete opportunità di lavorare e farsi la loro vita.
Altrimenti il concerto del 1 Maggio diventa sballo per non sentire la fitta.

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