Ken Loach Palma d’oro!

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Ken “il Rosso”compie 80 anni tra un mese, e non mi sembra che fossero tutti comunisti i 9 giurati che a Cannes hanno dato la Palma d’Oro a “I, Daniel Blake”. Se la merita tutta, questa seconda Palma della sua vita , perché il suo cinema politico somiglia alla politica che vorremmo e che non abbiamo. Non è ideologico e non fa proclami. Si occupa della gente che lavora e delle ragioni per cui fatica a campare. Parla di solidarietà, che non è un valore da rottamare. Ken Loach poi non è di sinistra, è proprio trotzkista, roba di un secolo fa, perché i suoi valori non li ritrova in nessun Partito.
Questa sua Palma conta di più di quella del ‘96 per “Il vento accarezza l’erba”, che non era il suo film migliore. Non basta l’impegno. Quando i tuoi temi e il tuo stile fanno tutt’uno, è allora che tocchi il cuore. Ken Loach è universale perché è francescano, piacerebbe moltissimo a questo Papa.
Fa cinema povero e di minoranza, perché non vende consolazione, speranza sì, quella sì. Mentre scrivo mi guarda da una sua foto di tanti anni fa. Ci ha scritto sotto “No pasaran, nosotros pasaremos !”. Ci crede ancora. Anche se la sua amata classe operaia si è frantumata.
Fare le pulci al verdetto della Giuria sarebbe uno sport da scemi. Ero sicura, e l’ho scritto, che “American Honey”di Andrea Arnold sarebbe stato nel Palmarès. Ha vinto il Prix du Jury, il terzo per importanza, perché un’America giovanile girata così non l’ha mai vista nessuno. Sono felice che “Baccalauréat”di Cristian Mungiu, rumeno, abbia vinto la Regia. Da noi di corruzione, bustarelle e mandati di garanzia si parla solo nei cinepanettoni. E ci si ride. Lo ha preso ex aequo anche “Personal Shopper”di Olivier Assayas. Boh. Misteri.

L’unico film che ero riuscita a vedere alla “Quinzaine”ha vinto la Caméra d’Or per l’opera prima. “Divines”racconta le figlie adolescenti dell’immigrazione islamica e dei campi Rom della banlieue, secondo me è bellissimo e diventerà un cult giovanile. Il resto mi convince poco. Il Grand Prix du Jury a “Giusto la fine del mondo”di Xavier Dolan esalta (parere mio) soprattutto un osannato testo teatrale. Non sono un tecnico e se il giurato Làszlò Nemes che ha vinto l’Oscar per “Il figlio di Saul”mi spiega che girare in 35 mm come Dolan è una grande figata gli credo sulla parola.
Troppa grazia due premi all’iraniano “The Salesman”di Asghar Farhadi, attore e sceneggiatura. Farhadi vinse l’Oscar per il magnifico”Una Relazione”, poi ha lavorato in Francia, adesso è tornato in patria, dove far film è duro e pericoloso. Questo però è faticosamente”cerebrale”. Premiare poi l’attrice del filippino Brillante Mendosa , Jaclyn Jose, per il “Ma’Rosa”che la vede spacciatrice di crack nella Manila più desolata , è un insulto a Isabelle Huppert. D’accordo, ha vinto fin troppo, nella sua vita. Ma quel che riesce a fare in ”Elle”è miracoloso . Se fossi ricca, in Italia lo distribuirei io.

Per il colore, solo due ‘laureati’dopo la Premiazione hanno levato ai fotografi il pugno chiuso della sinistra che fu : Ken Loach e la Houda Benyamina di “Divines”, regista giovane, araba e militante. Bisogna sapere che in Inghilterra Ken Loach è stato spesso distribuito in meno di dieci copie. Che i suoi documentari tv sul lavoro dell’epoca Thatcher non sono mai stati trasmessi. A Cannes l’ho accompagnato in farmacia e lui diceva : “Mi fate tanti complimenti, sarà per gentilezza ?” E’ vero che senza i premi di questo Festival gente come lui non lavorerebbe. “Un mondo migliore è possibile, e anche necessario”: parole di Ken, con la sua Palma in mano.


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