Livorno, “io non taccio”

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Dal 2006 ad oggi sono 2792 i giornalisti intimiditi e minacciati (fonte: Ossigeno per l’Informazione). Dall’inizio di quest’anno siamo già a quota 119, di cui 43 sono donne. Se osserviamo i dati del 2015 – 528 giornalisti minacciati – salta subito all’occhio che il fenomeno è in crescita esponenziale. Secondo Ossigeno per l’Informazione la portata reale dell’attacco alla libertà d’informazione non è ancora oggi quantificabile, dal momento che sono tanti i giornalisti e le giornaliste che scelgono di non denunciare.

Le otto storie di giornalisti minacciati dalle mafie o dal potente di turno contenute in “Io non Taccio” (Cento autori ed), premio Paolo Borsellino 2015, sono diventate a Livorno un “libro di testo” su cui formarsi.

Con Omar Monestier, direttore de Il Tirreno (che ha ospitato il corso con crediti, presso la sala conferenze del giornale) ed Enzo Chioini, di Libera (che con l’Ordine di Toscana ha organizzato l’incontro), i numerosi giornalisti presenti hanno discusso della necessità di modificare la legge sulla stampa, abolendo il carcere per i giornalisti.

Non solo. Partendo dai casi di cronaca, si sono confrontati su situazioni al limite del grottesco, soprattutto relative all’informazione on line. Diffide continue di rimozione degli articoli, diffide di censura dei nomi anche di persone morte d’incidente stradale; querele temerarie le più fantasiose.

Positiva dunque l’attuale riforma del processo civile che ha inserito un emendamento che prevede la possibilità per il giudice di condannare “la medesima parte soccombente al pagamento di una somma in favore della controparte, determinata tra il doppio e il quintuplo delle spese legali liquidate” e “al pagamento di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che tenga conto del valore della controversia, di importo determinato in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per l’introduzione del giudizio”. Ma serve di più.

E’ urgente eliminare il carcere per i giornalisti e depenalizzare la diffamazione a mezzo stampa. Questo per i free lance è indispensabile e non più prorogabile, perché dà accesso alla possibilità di sottoscrivere un’assicurazione sul lavoro, che li tuteli nel caso di condanna e nel caso non abbiano le spalle coperte da un editore.

Altro fenomeno vissuto con angoscia dai giornalisti è quello dell’hate speech, del linguaggio dell’odio a loro riservato soprattutto sui social network. Il ruolo dell’informazione e del giornalista cane da guardia della democrazia è vissuto con insofferenza e fastidio da chi è oggetto delle nostre cronache e delle nostre inchieste. Ci siamo confrontati con franchezza sulla vulnerabilità delle nostre vite sui social network e sulla connotazione sessista e violenta che il fenomeno riserva alle donne, destinatarie di minacce a loro dedicate, in quanto donne.

“Non siamo eroi e non abbiamo bisogno di eroi”. Dalla platea giornaliste e giornalisti toscani hanno più volte ribadito che “vogliamo fare solo il nostro lavoro con onestà e vogliamo che tale onestà ci venga riconosciuta”. Questo è un altro filone di riflessione, tutto da indagare: da anni si assiste al venir meno del riconoscimento del ruolo sociale del giornalista. Colpa dei social network e dell’illusione che tutti, per aver scritto unpost, siamo scrittori, poeti, giornalisti? Troppo fiducia nel citizen journalism? Giustificazioni troppo sbrigative. Alcune recenti condanne inferte a colleghi giornalisti per aver scritto in malafede falsità, parlano chiaro: troppo spesso il nostro mestiere viene usato come esercizio di potere e non come “servizio” dei cittadini.


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