La Chernobyl oltre il 2000 e i suoi nipoti radioattivi

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A 30 anni dallo scoppio del reattore 4 in Ucraina, pubblico oggi un articolo inedito scritto da me e mio marito, Astrit Dakli, all’interno di un progetto di video inchiesta sui bambini nati dai figli di Chernobyl, ideato insieme venticinque anni dopo la tragedia. Il progetto nacque dalla coincidenza dei nostri ambiti di lavoro: i bambini per me, Chernobyl per lui. Astrit è stato uno dei primi giornalisti ad andare sul luogo dell’esplosione nel 1986, e fece il suo lavoro di reporter senza alcuna protezione e tornando in Italia con un’allergia della pelle alla luce solare che lo ha sempre costretto a compensare con vitamina B e a coprirsi quando si esponeva ai raggi: una reazione cutanea che nessun medico è mai riuscito a diagnosticare con esattezza. Astrit non sapeva di soffrire, già in quel momento, di una rara malattia genetica che colpiva il suo cervello e per cui è morto quest’anno dopo una lunga lotta, ma ci siamo sempre chiesti, nel tempo, se quel viaggio avesse mai potuto influire su questa sua malattia.

di Luisa Betti e Astrit Dakli

Era il 26 aprile del 1986 quando il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl, esplose provocando la contaminazione radioattiva di vaste zone anche a grandi distanze. “L’esposizione alle radiazioni in un incidente come quello di Chernobyl nel 1986 – spiega il Dottor Tony Nicholson, Vice Presidente di The Royal College of Radiologistsdel Regno Unito e Decano della facoltà di radiologia clinica – può avere effetti sulla salute di diverse generazioni di persone, non solo per coloro che vivevano nelle sue vicinanze al momento dell’evento”. In poche parole, se 25 anni corrispondono a una intera generazione, significa che oggi nascono i nipoti della catastrofe, e che molti di questi bambini sono affetti da gravi patologie anche se nati da genitori sani. “Le radiazioni possono causare danni allo sperma degli uomini e all’apparato riproduttore delle donne. Il risultato di tutto ciò è che i figli possono nascere con difetti congeniti, come gravi stati cardiaci o anomalie cerebrali. Alcuni di questi difetti saranno fatali, altri richiederanno un intervento chirurgico o comprometteranno la qualità della vita dei bambini. Quindi molti di quelli che pensavano di essere sfuggiti a tutto ciò, o di aver subito il minimo degli effetti, potranno vedere adesso questi effetti sui loro figli”, conclude Nicholson.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Agenzia per l’Energia Atomica non sono d’accordo e ancora adesso sostengono che le vittime potenziali sono poche migliaia, mentre medici e scienziati che lavorano nelle zone più contaminate di Russia, Bielorussia e Ucraina sanno che in realtà ci sono milioni di persone che hanno subìto danni, e soprattutto ci sono tantissimi bambini che ancora devono nascere e sono a rischio di mutazioni genetiche. “Un piccolo gruppo di cui faccio parte sta chiedendo alla Commissione Europea il sostegno di uno studio corretto e indipendente di tutte le conseguenze per la salute dell’incidente di Chernobyl”, ha spiegato il Professor Dillwyn Williams dello Strangeways Research Laboratory di Cambridge, lo scorso gennaio. E anche i medici dell’ospedale oncologico pediatrico di Minsk, in Bielorussia, dell’ospedale per la protezione radiologica di Vilne, nell’est dell’Ucraina, e dell’ospedale pediatrico di Kiev, non hanno dubbi sul fatto di trovarsi davanti a un insolito incremento nel numero di tumori, mutazioni e malattie del sangue legati all’incidente nucleare di 25 anni fa. Ma dimostrare che la mortalità infantile negli ultimi vent’anni è aumentata significativamente o che molti bambini che oggi soffrono di malattie genetiche, malformazioni degli organi interni e tumori alla tiroide a causa della peggior fuoriuscita di radioattività mai avvenuta, è un’impresa. “Ci sono genitori che danno alla luce bambini con malattie e con disabilità – dice Linda Walker dell’associazione UK Chernobyl Children’s Project che assiste orfanotrofi in Ucraina e Bielorussia – ma non si stanno portando avanti adeguate ricerche su questo fenomeno.”

Ma andiamo a vedere nello specifico cosa succede, cosa è successo e cosa potrebbe succedere: “Le centrali nucleari producono trizio, iodio 131 e plutonio che, se inalato in una sola frazione di milligrammo, è letale per una persona”, dice il professor Giuseppe Miserotti, presidente dell’Ordine dei medici di Piacenza e membro dell’Isde, l’Associazione dei medici per l’ambiente affiliata alla International society of doctors for the environment, intervistato quest’anno subito dopo il disastro della centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, causato dal terremoto e dallo tsunami del 26/03/2011. “Il primo problema è costituito dal trizio, che è idrogeno a massa pesante, tre volte di più dell’idrogeno normale (…) Nelle donne in gravidanza che assorbono trizio succede che le staminali del feto, che sono sensibilissime, subiscono una prima radiazione in cui vi sarebbe una specie di preparazione pro-leucemizzante del clone, mentre successive radiazioni potrebbero provocare direttamente la malattia. Quindi il destino di molti di questi bambini si giocherebbe ancora quando sono in utero. Poi c’è la catena alimentare, peraltro, caratterizzata dall’imprevedibilità dell’assorbimento perché anche la distanza dalle centrali condizionerebbe la quantità di trizio assorbito: vi sono studi pubblicati che evidenziano come quantità di trizio non trascurabile possano ancor essere significative a distanze di centinaia di chilometri dall’impianto nucleare. Il trizio si concentra nel sangue e rimane nell’uomo per tantissimo tempo, a seconda della costituzione fisico-chimica dei diversi tessuti e del tipo di radionuclide”.

Oltre al trizio però ci sono altre sostanze, come il cesio 137, lo stronzio 90, lo iodio 131 e il plutonio. “Nei reattori delle centrali – continua il professor Miserotti – si forma anche il plutonio che, se inalato anche in sola frazione di milligrammo, è letale. Anche lo iodio 131 viene assorbito nella catena alimentare, e in questo caso entra in scena la tiroide dei bambini che è talmente golosa di iodio che l’assorbimento è velocissimo. In uno studio di qualche anno fa (dati Cnr sugli effetti di Chernobyl, ndr) si vede che dal 1987 in poi, nei luoghi limitrofi a Chernobyl, c’è un aumento lineare dell’incidenza del cancro alla tiroide negli adulti e, dato su cui riflettere, ce n’è uno molto più importante nei bambini; con patologie che, quando vengono in evidenza, si trovano in uno stadio molto più avanzato, con metastasi linfonodali e polmonari con una frequenza molto superiore alla media. Un’altra patologia studiata sempre a Chernobyl è la cardiomiopatia da cesio, che genera infarti senza fenomeni infiammatori (Studi del dottor Yuri Bandazhevskij, ndr). L’Oms ha sempre ammesso soltanto che Chernobyl ha prodotto 4.000 vittime. Sono andato a vedere cosa ha detto Eugenia Stepanova, ricercatrice del Centro scientifico del governo ucraino: «Siamo pieni di casi di cancro della tiroide, mutazioni genetiche che non sono state registrate nei dati perché erano sconosciute venti anni fa». E ancora il vicecapo della Commissione di valutazione per la radioprotezione: «Abbiamo studi che dimostrano come 34.499 persone, di quelle che partecipavano alla ripulitura, sono morte di cancro». Il tasso di mortalità è aumentato del 30%. Queste informazioni sono state ignorate dall’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ente nato sostanzialmente per la promozione del nucleare civile”.

Infine il sopracitato studio del dottor Bandazhevsky e di sua moglie Galina Bandazhevskaya, medici di fama internazionale esperti dei danni causati dalle radiazioni sull’essere umano, afferma che “Con il tempo i problemi aumentano invece di diminuire: le statistiche dicono che in 8 anni, dal 2000 al 2008, i bambini che si ammalano a causa delle radiazioni sono aumentati del 50%. Le malattie sono difficilmente diagnosticabili: il 28,9% presenta malformazioni, anche interne, che possono passare inosservate ai primi esami, mentre il 19% dei bambini presenta problemi al sistema nervoso centrale. Anche il cancro alla tiroide (l’organo più colpito in giovane età) è in sensibile aumento. L’assorbimento delle radiazioni varia da individuo a individuo, e in particolare nei bambini risulta essere più rapido. Nelle regioni colpite esiste una figura medica specializzata, il cardio-ritmologo, in quanto l’incidenza delle aritmie cardiache è molto alta e richiede una formazione particolare; è frequente che bambini di 8-10 anni necessitino di un pacemaker per sopravvivere, senza garanzie che la patologia non si aggravi negli anni successivi. L’organo più colpito in assoluto nei bambini è la tiroide, con gravi conseguenze sullo sviluppo come l’osteoporosi; altri organi colpiti frequentemente sono cuore, reni, cervello e fegato (…) La fase più critica è la gravidanza. Nei bambini nati morti i radionuclidi sono presenti in tutti gli organi, rendendo impossibile una diagnosi attendibile sulla causa del decesso del feto”.


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