O-dio

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Pensando all’ennesimo massacro di Lahore contro i cristiani pakistani, ho notato che la parola odio contiene in sé il termine dio.

Non è una questione etimologica, ma piuttosto una concomitanza antropologica. Per odiarsi, occorre avere un dio differente. Allora l’uccisione  dell’infedele diventa santa, cioè gradita al proprio dio, perché si elimina la minaccia di un dio concorrente. Ma soprattutto utile ai credenti, che riassumono nel proprio dio i valori della loro identità. Le religioni sono state delle proto-costituzioni, dove è incisa l’etica di un intero popolo. Ovvero cioè che è giusto e utile alla propria sopravvivenza e ciò che è considerato distruttivo.
Occorre aspettare la civiltà romana per avere il primo stato laico, ovvero quello che pone il diritto al di sopra delle devozioni e quindi accetta tutti i culti stranieri, in quanto sottoposti, equiparati, tutelati e non contrari alla Legge. Da allora, la tentazione a regredire verso il dio tribale – protettivo con i propri figli e crudele con gli estranei – è ricorrente. La religione degenera  nel nazionalismo, fino a dotarlo di una legittimità soprannaturale. Così, i segni della propria religione si mostrano in battaglia al nemico, le armi vengono benedette e  “dio è con noi” è il grido di guerra di crociati, mussulmani, fino ai nazisti, ai jihadisti.
Papa Francesco ha capito che il dio diverso è la profonda fonte di o-dio. E insiste nel proclamare un unico Dio che ha nomi diversi, come presupposto per affermare un’unica fratellanza. Anzi, con la lavanda dei piedi a persone di varie religioni, ha dato priorità alla parentela umana, più che alla connotazione religiosa. Non è iso-teismo pacificatore, ma elevare la propria coscienza umana a riferimento spirituale supremo. Se c’è conflitto tra un dio che impone di odiare l’infedele e la nostra coscienza che si rifiuta, bisogna smascherare il nostro egoismo – personale o collettivo – che si è fatto dio. E bestemmia l’Uomo.

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