La Giornata della memoria per le vittime dell’immigrazione è legge, ma non basta ricordare. Bisogna agire

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La Giornata della memoria delle vittime dell’immigrazione è legge. Con il voto in Senato, pressoché unanime fatta eccezione per il prevedibile ‘no’ della Lega, la Repubblica italiana ha riconosciuto il 3 ottobre quale data simbolo per conservare e rinnovare la memoria di quanti hanno perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria. Prima di tutto per ricordare la tragedia del 3 ottobre del 2013, uno dei giorni più bui nella storia delle migrazioni. Quel giorno morirono 366 persone, annegate dopo il naufragio di un barcone al largo di Lampedusa. E nell’ultimo anno le vittime accertate nel Mediterraneo sono state almeno 4200. Uomini, donne, bambini… Ognuno con un nome, un volto. Con sogni e desideri, debolezze e paure. Accomunati da un solo elemento, la tragedia che si consuma giorno dopo giorno a largo delle nostre coste i cui fondali sono disseminati di barconi affondati con il loro carico di disperazione ma anche per il peso della responsabilità di chi su quelle carrette del mare ce li ha spinti quei disperati perché altre vie di fuga dalle crisi umanitarie, dalle guerre, dalla povertà assoluta che vessano milioni di persone non ce ne sono. Oggi sarà più difficile ignorare queste realtà, una Giornata della memoria ci ‘ancora’ alle nostre responsabilità. Certo è più facile piangere che accogliere le migliaia, le centinaia di migliaia, di profughi che arrivano alla ricerca di un futuro in Europa, quell’Europa che stenta a superare egoismi e divisioni.
E’ giusto, doveroso, ricordare le vittime ma, prima di ogni cosa, serve agire. Eppure nonostante l’impegno di pochi in tanti continuano a osteggiare qualsiasi iniziativa comune che possa portare alla condivisione del carico di disperazione che si riversa sulle nostre terre. Ogni volta che arriva un barcone in Italia, che riesca ad approdare o che affondi in mare aperto lasciando l’incombenza alla nostra Guardia Costiera di recuperarne i naufraghi, c’è chi storce il naso e grida allo scandalo dei rifugiati accolti indiscriminatamente nel nostro Paese come negli altri Stati europei. Visti da molti come ‘pesi morti’ che lo Stato si ‘accolla’ a scapito dei tanti italiani in difficoltà, non vengono considerati per quello che sono: dei disperati che rischiano la vita attraversando il Mediterraneo su imbarcazioni fatiscenti e pericolose, sempre stracolme, perché non hanno alternative.
Sapete quanti immigrati arrivati nel 2015, e cito statistiche pubblicate dal Ministero dell’Interno, hanno finora ottenuto lo status di rifugiati in Italia?
Solo il 50% dei richiedenti asilo (circa 2.800 persone) ha ottenuto il riconoscimento di qualche forma di protezione e non tutti viene attribuita, come prevede l’ordinamento italiano, anche la ‘protezione sussidiaria’, che viene concessa solo a coloro per i quali sussistono ‘fondati motivi di ritenere che, se ritornassero nel Paesi dal quali provengono correrebbero un rischio effettivo di subire un grave danno’.
La maggior parte dei profughi può però contare esclusivamente sull’accoglimento e la protezione umanitaria (ovvero il permesso di soggiorno per motivi umanitari), concessa nel caso,sussistano gravi motivi, come guerre o crisi di altra natura.
Il numero di rifugiati accolti dall’Italia appare ancor più modesto se comparato a quello di altri paesi europei e del resto del mondo
Secondo i dati dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite) in Italia sono circa 50mila e ogni anno vengono presentate dalle 30mila alle 40mila richieste di asilo.
Il trend registrato in tutta Europa dagli anni ‘90 ad oggi, ovvero l’aumento di domande a causa di nuovi conflitti e violazioni dei diritti umani, si è verificato anche in Italia.
Gli ultimi dati forniti da UNHCR rilevano che “a titolo di comparazione la Germania accoglie circa 580mila rifugiati ed il Regno Unito circa 290mila, mentre i Paesi Bassi e la Francia ne ospitano rispettivamente 80mila e 160mila. In Danimarca, Paesi Bassi e Svezia i rifugiati tra i 4,2 e gli 8,5 ogni 1.000 abitanti, in Germania oltre 7, nel Regno Unito quasi 5, mentre in Italia appena 0,7, ovvero 1 ogni 1.500 abitanti”.
La legislazione del nostro Paese non facilita (volutamente?) l’incremento del numero di rifugiati. E la domanda sorge spontanea: come è possibile che l’Italia, a fronte di un’emergenza così pressante non abbia nel proprio ordinamento una normativa organica sull’accoglienza?
La disciplina dello status di rifugiato, pur essendo stata concepita a tal fine, non è mai risultata coincidente con il diritto di asilo. È frammentaria e incompleta, essendo contenuta in diversi strumenti che si sono sovrapposti nel tempo senza mai ricevere una revisione organica.

E il punto, dunque, è proprio questo. Se l’importante successo di oggi, l’istituzione di una giornata della memoria per le vittime dell’immigrazione, è senza dubbio un punto fermo, una vittoria per quanti si impegnano quotidianamente nell’assistenza ai profughi, come il Comitato 3 ottobre promotore della legge, la vera battaglia, quella che dobbiamo affrontare con ancor più vigore e determinazione è proprio il raggiungimento di una normativa che renda possibile per tutti coloro che fuggono da morte e disperazione, il diritto all’accoglienza e il sostegno per poter ricominciare. Riappropriarsi di un futuro, della propria vita.


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