Dundar e Gul. Storie che ci riguardano incredibilmente da vicino

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“Il coraggio uno non se lo può dare” così si giustificava don Abbondio col cardinale Federigo per spiegare la sua ingiustificabile sottomissione a Don Rodrigo e ai suoi bravi. Per fortuna però a questo mondo non tutti sono dei don Abbondio. Non proprio tutti. C’è anche chi di coraggio ne ha da vendere. Fra questi ci sono sicuramente Can Dundar e Erdem Gul, rispettivamente direttore e caporedattore di Cumhuriyet, quotidiano turco di opposizione. Dundar, dopo aver passato 92 giorni nelle carceri di quel paese ( che meglio delle nostre non devono essere), a chi lo applaudiva all’uscita dalla prigione ha detto: “Dispiace di avervi fatto aspettare tanto. Oggi è il compleanno del Presidente Erdogan, siamo contenti di festeggiarlo con questa scarcerazione”. Che dire di un uomo così? Quanto meno che ha i nervi saldi e non è tipo da perdersi d’animo visto che ha trovato la forza di ironizzare proprio su quell’Erdogan che lo aveva fatto finire dietro le sbarre. Per cosa poi? Per aver pubblicato un’inchiesta che documentava il traffico d’armi che dalla Turchia viaggiano verso il territorio siriano come rifornimento per i ribelli amici del regime di Ankara.

Dundar e Gul sono stati arrestati il 26 novembre con l’accusa di spionaggio e tradimento. La prima udienza del loro processo è fissata per il prossimo 25 marzo. Rischiano una condanna all’argastolo semplicemente per aver fatto il loro mestiere. Non sono accusati di aver detto falsità ma di aver parlato di cose che il potere non vuole che si sappiano, aver rivelato dei segreti. La buona notizia è che la Corte Costituzionale turca ha ora ritenuto illegittima la loro detenzione preventiva con motivazioni che sono di assoluto significato, perché inflitta violando i “diritti individuali, la libertà di espressione e di stampa”.
Ma Dundar non è soltanto coraggioso. Ha anche un’altra qualità che spesso sfugge a molti suoi colleghi.

Non pensa di essere al centro del mondo. Così, commentando la decisione della Corte, ha espresso una speranza: che la sentenza possa costituire un precedente, far tornare liberi anche gli altri 30 cronisti turchi sbattuti nelle carceri del paese per aver dato notizie sgradite al regime. D’altronde stiamo parlando di un uomo di notevole spessore. Non a caso ricevendo il premio Libertà 2015 di Reporter Senza Frontiere aveva detto: “Il mio ufficio ha due finestre, una si affaccia su un cimitero, l’altra sul tribunale, sono i due luoghi più visitati dai giornalisti in Turchia”. A dimostrazione che l’intelligenza consente di commentare i fatti evitando ogni inutile e fastidiosa retorica.http://www.articolo21.org/…/can-dundar-lettere-dal-carcere…/
Luoghi frequentati dai giornalisti turchi loro malgrado, ovviamente. Il terzo posto dove si può finire, se non si passa dal cimitero, è inevitabilmente la galera. E’ importante che continuiamo a parlarne pure in Italia, in maniera ostinata e tenace. Sono storie che ci riguardano incredibilmente da vicino, vedi i 400mila morti del dramma siriano e il conseguente fiume di profughi che fugge da quel paese devastato transitando dalla Turchia verso l’Europa.
Storie che non sempre trovano la dovuta attenzione, forse perché intelligenza e lungimiranza sono un po’ come il coraggio, se non ce le hai, non te le puoi dare.


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