Repubblica: quarant’anni e una scommessa sul futuro

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Buon compleanno Repubblica! La gloriosa testata della sinistra laica, repubblicana e azionista compie quarant’anni (il primo numero uscì in edicola il 14 gennaio 1976) e l’occasione dà modo a noi lettori e colleghi di riflettere in amicizia, con spassionato distacco e appassionata convinzione, sui primi quattro decenni di un quotidiano che ha accompagnato, assecondato e spesso criticato i principali cambiamenti del nostro Paese.

Quarant’anni sono un lasso di tempo talmente ampio che non ha senso confrontare il contesto politico, sociale, culturale, economico ed istituzionale di allora con quello di oggi: basti dire che all’epoca Renzi aveva appena compiuto un anno e al governo c’era Aldo Moro, mentre il PCI di Berlinguer si apprestava a giurare fedeltà alla NATO, almeno per voce del suo segretario, e a conseguire il miglior risultato (34,4 per cento) della sua storia alle Politiche del 20 giugno.

C’era ancora il Muro di Berlino, il mondo era diviso in blocchi, Bettino Craxi non era ancora stato eletto segretario del PSI nel corso della rivoluzione giovanilista (e Dio solo sa quanto dannosa per le sorti stesse di quel partito, bruciato nel drammatico falò purificatore di Tangentopoli) del Midas, la Juve era allenata da Giovanni Trapattoni, l’Italia da Bearzot, Mazzola e Rivera erano ancora in campo, Mennea non aveva ancora riscritto la storia dell’atletica italiana, ottenendo i due storici trionfi del ’79 e dell’80, Niki Lauda non aveva ancora rischiato la vita nel drammatico rogo del Nürburgring, Pelé incantava ancora il mondo con il pallone fra i piedi, Maradona aveva da poco compiuto quindici anni e non era ancora esplosa la febbre del sabato sera, “l’altro Matteo”, Salvini, stava per compiere tre anni e quasi nessuno degli esponenti del M5S era ancora nato.

1976: una vita fa, un’altra epoca, una stagione incomparabile con il mondo multipolare di oggi, in cui un presidente nero sta per cedere la Casa Bianca a una presidente donna, il Sudafrica ha vissuto la benefica rivoluzione di Mandela dopo la tragedia dell’apartheid, la Germania unita ha vinto i mondiali grazie a una squadra multietnica, proprio come aveva fatto la Francia a cavallo fra il ’98 e il 2000; e ora di quella meraviglia, sportiva, sociale e culturale, è rimasto ben poco, specie in seguito agli attentati contro la redazione di “Charlie Hebdo” e l’ipermercato “kosher” del 7 gennaio 2015 e la mattanza del Bataclan e di altri luoghi emblematici delle nostre libertà occidentali dello scorso 13 novembre.

1976: direttore Eugenio Scalfari, divenuto poi editorialista di punta, sostituito nel maggio del ’96 da Ezio Mauro, il quale ci ha tenuto più volte a ribadire l’importanza dei princìpi che hanno reso unico nel suo genere il giornale che ha avuto l’onore di dirigere per quasi vent’anni.

Non sempre siamo stati in sintonia con la linea assunta dal giornale: certamente sì per quanto riguarda la nobile battaglia, dai contenuti spesso costituzionali, contro Berlusconi e, soprattutto, contro il berlusconismo arrembante che ha sfigurato e trasformato in peggio il Paese, l’informazione e il nostro sistema politico e istituzionale; assai meno per quanto concerne Renzi e il renzismo che “la Repubblica” di Mauro ha inizialmente salutato come un’iniezione di freschezza e di novità mentre noi ne abbiamo denunciato fin dal principio incongruenze e contraddizioni nonché la fragilità di un impianto culturale e politico che, specie in occasione dello scandalo della Banca Etruria e delle numerose riforme abborracciate condotte in porto finora, è emerso in tutta la sua tragica inadeguatezza.

L’auspicio è che il nuovo direttore Mario Calabresi, già corrispondente di Repubblica dagli Stati Uniti, successivamente direttore de “La Stampa” e adesso protagonista della Terza Repubblica del quotidiano di largo Fochetti, si riveli all’altezza del difficile incarico, cosciente di succedere a due fuoriclasse come ne esistono pochi nel panorama giornalistico italiano e internazionale.

Noi, dal canto nostro, continueremo ad essere lettori attenti e critici, scommettendo sul futuro dell’Italia e del suo valore più nobile: quella libertà d’informazione tante volte messa in discussione e tante volte difesa da una testata che in questi anni di sfide faticose e talvolta strazianti, come la lotta contro la censura e il bavaglio, abbiamo spesso sentito vicina e partecipe.


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