In Russia libri in fiamme

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In Russia i libri considerati ideologicamente inadatti vengono eliminati dagli scaffali delle biblioteche scolastiche, forse addirittura messi al rogo. Nel silenzio di accademici e intellettuali

Una brutta storia che non avremmo mai pensato di vedere riproporsi, e ancor meno nei territori, per quanto periferici, del vecchio continente. Eppure, secondo quanto riportato da diversi media tedeschi, che riprendono notizie diffuse dalla stampa locale, in territorio russo una certa quantità di libri sono stati messi al rogo e, sembra, anche più di una volta e su disposizione di amministrazioni pubbliche.

Ma vediamo i fatti. Una scuola professionale nella città di Vorkuta ha messo al rogo 53 libri di studio della sua biblioteca, e altre scuole starebbero pianificando azioni simili. Lo riporta il sito d’informazione locale 7×7. Il sito riproduce anche un documento firmato dalla ministra dell’istruzione regionale in cui si precisa che “la letteratura oggetto di donazione dev’essere distrutta mediante incenerimento”. Tutti i libri in questione erano stati  pubblicati e finanziati nell’ambito del progetto “Ricostruzione della formazione umanitaria in Russia” dalla fondazione Soros e trattavano di vari argomenti, dalla logica al surrealismo e persino alla criminologia.

La vicenda non nasce dal nulla. Sin dagli anni novanta, con la sua “Open Society”, il miliardario e filantropo ungherese-americano George Soros ha avviato progetti per promuovere lo sviluppo della democrazia e dell’istruzione nell’est Europa. Un’attività da molti accusata di provocare azioni sovversive, tanto che lo scorso novembre l’Avvocatura generale dello stato di Mosca ha dichiarato indesiderabili tutte le organizzazioni che fanno capo a Soros. Dopo questa delibera, è partito anche a Komi l’azione di verifica sui libri nelle biblioteche. Secondo i responsabili nel capoluogo, l’ordine sarebbe arrivato direttamente dal delegato del Presidente.

La notizia non poteva passare sotto silenzio neanche nel paese dominato da oltre tre lustri dal gruppo di potere che fa capo a Vladimir Putin. Immediata la condanna del ministro della cultura, Medinski, preoccupato soprattutto per il richiamo storico agli autodafé del periodo nazista. Un biasimo che ha spinto la locale ministra dell’istruzione a negare di aver mai firmato quell’atto, mentre direttore e bibliotecaria della scuola sotto accusa hanno dichiarato che l’espressione “bruciare” sarebbe un modo usuale per indicare l’archiviazione in magazzino di titoli non più utilizzabili. Eppure, dopo le prime notizie, la stessa bibliotecaria aveva affermato che già altre volte era stata “attivata questa procedura” per sbarazzarsi dei fondi librari che da anni non venivano chiesti in prestito.

Aldilà del rimpallo di responsabilità tra burocrazie e di giustificazioni più o meno credibili,  preoccupa lo spirito che si sta diffondendo da alcuni anni  in tutta la federazione russa, mirato a  una forma di autarchia ultranazionalista, una parola d’ordine che anche in Italia riporta alla memoria alcune parole d’ordine fasciste. La tendenza è stata rafforzata dalle sanzioni occidentali seguite alla crisi ucraina.

Bruciare o comunque distruggere libri considerati dannosi è stata una pratica millenaria e difficilmente potrà essere estirpata, se neanche gli ultimi settant’anni di presunta pace sotto l’ombrello della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sono riusciti a farlo. Noi cittadini europei non possiamo però evitare di riandare col pensiero alla notte del 10 maggio 1933, quando, nella sola Berlino, furono messi letteralmente a fuoco oltre 25.000 voumi, e centinaia di roghi analoghi furono appiccati in tutta la Germania e in Austria, con lo scopo dichiarato di eliminare “lo spirito non tedesco”. “L’uomo tedesco del futuro non sarà più un uomo fatto di libri, ma un uomo fatto di carattere”, dichiarava quella notte davanti alle fiamme che illuminavano la Opernplatz il massimo ideologo e comunicatore del regime Joseph Goebbels.

Parole e immagini di un passato richiamato di recente, per certi versi a sproposito, in molti giudizi sullo Stato islamico. Parole e immagini che invece risuonano ai confini dell’Unione europea, in un paese che, proprio per tener testa al fascismo islamista, oggi è visto come alleato. Ma che in terra russa la situazione sia esplosiva lo dimostra un editoriale del quotidiano economico Vedomosti, neanche tra i più sovversivi a Mosca: “Se la comunità accademica non si pronuncia ad alta voce denunciando la natura fascista di tali azioni, bisogna considerare il libro che brucia nel Komi non come un orribile eccesso, ma uno stadio legittimo nello sviluppo dello Stato e della società russa“.


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