A volte resistere è restare. Altre, resistere, è andarsene

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(27 Gennaio 2016) – «Lascio il Governo per un disaccordo politico importante. Ho scelto di essere fedele a me stessa, ai miei impegni, alle mie battaglie, al mio rapporto con gli altri; fedele a noi, per come io intendo questo “noi”. Il pericolo terrorista che ci minaccia è grave, è prevedibile, abbiamo appreso a contrastarlo e ci siamo dotati dei mezzi per farlo. Sappiamo come combatterlo e abbiamo dimostrato di essere determinati ad abbatterlo, ma penso che non dobbiamo concedergli alcuna vittoria, né militare, né diplomatica, né politica, né simbolica. E poiché questo paese pullula di forze, di energie, di volontà e d’immaginazione, può concepire che il suo destino riposi su fondamenta solide, e che tra queste vi sia la costruzione della sua identità repubblicana, della sua identità civica e civile, e che queste fondamenta siano sufficientemente robuste, sufficientemente profonde da poter resistere al tempo, agli incidenti e alle tragedie. È per questo che, fedeli all’insegnamento di Aimé Césaire, “non lasceremo il mondo agli assassini dell’alba”».

Come sempre, ha saputo usare parole strutturanti, fondanti e fondamentali. Un esempio di politica e di pensiero, di coerenza e di valori, di laicità e di eguaglianza, di civiltà e di dialogo. E il disaccordo politico in questione riguarda la riforma che vuole introdurre nella costituzione lo stato d’emergenza e la revoca della nazionalità per gli autori di crimini terroristici. Lo scontro concerne l’essenza e le fondamenta del diritto, della democrazia e dello spirito repubblicano – il senso profondo della politica e della società di fronte alla storia e agli eventi che stiamo vivendo, e quindi il profondo della struttura e delle funzioni del vivere comune, oggi. Christiane Taubira (nella foto) ha rassegnato le sue dimissioni proprio nel giorno in cui il Primo Ministro francese doveva presentare alla Commissione Affari Costituzionali dell’Assemblea Nazionale l’ultima versione del progetto di riforma costituzionale, cristallizzando la svolta securitaria già avviata nei mesi scorsi e in particolare dopo gli attentati del Gennaio 2015. Ministra della Giustizia francese dal 2012 e impegnata in politica, in difesa dei diritti umani e delle libertà civili sin da giovanissima, è stata protagonista delle battaglie fondamentali dell’attuale legislatura: quella del matrimonio per le coppie omosessuali e la riforma della giustizia penale. Entrambe sono state battaglie difficili, che hanno visto dure contrapposizioni in seno all’opinione pubblica così come in parlamento (e nel secondo caso, anche in seno al governo). Ma è stata anche spesso il bersaglio di critiche dure, dovute talvolta al merito delle sue convinzioni, talvolta al colore della sua pelle e all’ignoranza degli pseudointerlocutori. Rispetto ai quali si è però sempre dimostrata anche un esempio di stile per l’educazione, l’intelligenza e la tolleranza delle sue risposte.

(Maggio 2014) – Il mariage pour tous, oltre a fare della Francia il quattordicesimo paese al mondo e il nono in Europa ad aver esteso il matrimonio tra persone dello stesso sesso, è una riforma che è andata a incidere su situazioni di fatto già esistenti da anni, estendendo l’adozione alle coppie omosessuali. In Francia infatti, queste si vedono riconosciuta l’unione civile dal 1999 con il Pacs, il “Patto civile di solidarietà” a cui peraltro le coppie etero hanno fatto ricorso in misura molto maggiore. A inizio 2013, in mancanza di indagini mirate, a partire dai dati dell’Istituto Nazionale di Statistica francese, il numero dei bambini in famiglie omoparentali poteva essere stimato tra i 15000 e i 25000. La legge del 2013 dunque non ha fatto che prendere atto dell’esistente ponendosi come obiettivo una maggiore tutela giuridica dei minori e anche delle coppie, dato che comunque rispetto al matrimonio, l’istituto giuridico del Pacs presentava ancora alcune disparità rispetto al matrimonio, soprattutto in materia di regime fiscale e pensione di reversibilità – nonostante le modifiche migliorative apportate negli anni.

(Agosto 2014) – Altra battaglia fondamentale e di grandissima portata è stata quella che ha condotto alla riforma penale adottata nel 2014, con la promulgazione – per i reati sotto i 5 anni – delle leggi sull’individualizzazione della pena, sulla contrainte pénale, (tradotta spesso in italiano con “pena probatoria” dalla probation americana e vicina a quella che nel nostro ordinamento è la sospensione del procedimento con messa alla prova), sul superamento della “uscita secca” grazie all’introduzione della libération sous contrainte (una sorta di scarcerazione accompagnata che prepara l’uscita di prigione per contrastare i rischi di recidiva) e sulla compensazione delle vittime, in un’ottica di giustizia riparativa che mira a coinvolgere il reo in un processo di reinserimento nella società e a responsabilizzarlo nei confronti delle vittime e dei loro familiari. Una riforma avanzata, in grado non solo di ottenere risultati in termini di demografia carceraria (dal 2007, il pugno duro di Sarkozy non aveva fatto che peggiorare la situazione di sovraffollamento delle carceri francesi, con conseguente aumento delle violenze tra carcerati e le inevitabili ripercussioni sociali, psichiche e giudiziarie), ma anche di rispondere maggiormente agli obiettivi di (ri)educazione e di progettualità che la Taubira ha assunto come principi cardine della riforma. La lungimiranza di questo approccio è andata quindi a scardinare la mancata funzionalità (e gli effetti controproducenti) di quegli automatismi che Sarkozy aveva cristallizzato per tener fede alla promessa securitaria della sua campagna elettorale. Un esempio per tutti: le pene minime, introdotte appena eletto, che impedivano ai giudici di emettere una condanna individualizzata e automatizzavano la carcerazione per chi avesse già commesso un reato. Così con le pene automatiche c’è stata un’impennata delle entrate in carcere brevissime per reati puniti con pochi mesi di reclusione. Mentre tale meccanismo obbligato si è dimostrato assolutamente inefficace ai fini di prevenire la recidiva, una misura come l’individualizzazione della pena – che abroga le pene minime – ha invece la portata profonda di un altro obiettivo centrale per l’ormai ex Guardasigilli: dare un senso alla pena. E si tratta di un senso triplice: non solo per l’autore del reato; non solo per la società nel suo insieme, attraverso un programma di formazione, stage e lavoro socialmente utile, ma anche per i giudici e per l’attività giudiziaria, quindi per le istituzioni e per la giustizia. Perché la pena acquisisse “un senso agli occhi del condannato”, era necessario dare “al giudice i mezzi per comprenderne la personalità, l’ambiente e la condizione sociale, conoscerne i punti deboli (i rischi di recidiva) e i fattori positivi su cui puntare per favorirne l’uscita dalla criminalità”. Analogamente, la scarcerazione accompagnata richiede un percorso formativo e di reinserimento con una continua supervisione degli operatori (giudiziari e non) e un periodico punto della situazione del reo da parte del giudice, che ne deve seguire il percorso. Con la riforma quindi il budget della giustizia francese è aumentato di 450 milioni dall’entrata in vigore, il personale impiegato in ambito giudiziario (tra personale amministro e di sorveglianza, operatori sociali e cancellieri) è stato incrementato con l’obiettivo di raggiungere un aumento del 25% entro il 2017, e intanto sono stati assunti da subito 100 tra giudici e magistrati.

(Febbraio 2013) – Ma ciò che è importante ricordare è che la Taubira, per orientare la riforma del sistema penale, ha proceduto all’insegna del dialogo, della concertazione e dell’informazione per l’opinione pubblica richiedendo la partecipazione più estesa possibile, a tutti i livelli. Per la prima volta nell’ambito della giustizia francese, è stata istituita una “conferenza di consenso”, ovvero un comitato costituito da soggetti indipendenti e di varia provenienza politico-ideologica (magistrati, personale penitenziario, giuristi, ricercatori francesi e internazionali, rappresentanti dei sindacati di polizia e delle associazioni di parenti delle vittime) per i lavori preparatori al disegno di legge. Prima di procedere alla scrittura del testo, il comitato ha a sua volta eletto un jury indipendente che ha raccolto e riesaminato le questioni più delicate, avviato delle audizioni pubbliche e formulato pareri e raccomandazioni. La stessa Ministra si è poi fatta carico di un tour de France per spiegare alla cittadinanza e ai professionisti del settore i contenuti della riforma. Un esempio di progettualità, concertazione e dialogo tra la politica e la società civile che oggi come non mai dovrebbe essere ricercato per ricostituire la fibra del rapporto tra cittadini e istituzioni.

(Maggio 2015) – Gli attentati che la Francia ha subito nel 2015 hanno portato al dibattito, estremamente delicato, sul sistema di sorveglianza e di sicurezza francese, sulle mancanze dell’intelligence, sull’insufficienza della cooperazione tra i servizi di sicurezza internazionali, sui limiti oggettivi che incontrano gli organi di polizia nel seguire e monitorare gli individui segnalati con la fiche S (scheda Sicurezza), ma anche alla spinosa riforma, nel Maggio 2015, sui servizi di intelligence. È proprio in merito a questa che erano emerse senza occultamenti le importanti divergenze di principio tra la Taubira e il resto del governo, sostenuto anche dall’opposizione. Estendendo le competenze dei servizi segreti anche alle questioni di intelligence economica, ai rapporti con l’estero, all’ambito finanziario e a quello della ricerca scientifica e tecnologica, le nuove misure vanno a incidere su una platea ben più ampia dei sospettati di terrorismo e prevedono il ricorso a tecnologie e metodi di controllo sui cittadini che dai molti oppositori della riforma sono stati definiti lesivi delle libertà individuali e della privacy –  e, in alcuni casi, indiscriminati. Un parere allarmato quanto quello della Taubira era stato espresso nel Luglio del 2015 anche del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, a causa del disequilibrio tra i poteri introdotto da una riforma che annichilisce le competenze dei magistrati rispetto all’autorizzazione e al monitoraggio delle misure di controllo, intercettazione e sorveglianza. Con la riforma infatti, l’autorizzazione è accordata dal Primo Ministro, mentre all’organo giudiziario rimane solo un ruolo consultativo, da cui il capo del governo può prescindere e che non permette più nessun monitoraggio indipendente dell’operato dei servizi. Fu a questo proposito che l’ex Ministra dichiarò che in quanto guardasigilli la sua responsabilità era quella di preservare le libertà dei cittadini, schierandosi con chi di questa riforma contestava proprio gli squilibri strutturali.

(Gennaio 2016) – Fin troppo facile oggi (e fin troppo sciocco), nel contesto di una “Francia in guerra”, formulare a carico di una donna salda e coerente accuse di amichevolezza nei confronti del terrorismo. Assai probabile (fin quasi ovvio e infatti dimostrato dai sondaggi sulla popolazione) che nello stesso contesto le misure che restringono le libertà di ognuno siano percepite come rassicuranti anche dai più giovani. Ma al di là dell’efficacia delle misure in questione, che si potrà eventualmente misurare solo col tempo, e al di là dell’effetto tranquillizzante dell’azione immediata e d’urgenza, che appare ben più efficace e concreta dei ragionamenti sul senso delle pene, della giustizia e del lavoro per reintegrare gli individui nella società, il punto della Taubira sta evidentemente a monte. E non solo a monte dei valori repubblicani e costituzionali, passibili di essere presi nel senso più astratto quando si vuole. Il punto della Taubira sta a monte di quell’idea di società che probabilmente, almeno da qualche parte, ha fallito, o quantomeno non è riuscita. Perché i temi dell’integrazione, delle pari opportunità, della criminalità e del modo in cui un sistema giudiziario interviene per sanzionarla, non sono slegati dal problema della cessione di terreno all’estremismo assassino e liberticida, né dalle condizioni sociali di quegli individui che anche nei e dai nostri paesi europei vi aderiscono. Il punto della Taubira allora è di sistema e di orizzonte, riguarda la società e gli individui, e quelle che fino a ieri sono state la sua funzione e le sue responsabilità di garante della giustizia e delle libertà, come ha detto lei stessa. È questo il senso profondo ed esemplare di chi fa un passo indietro nella speranza di lasciare “l’ultima parola all’etica e al diritto”.


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