Partecipazione: dalla truffa al cambiamento

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Ieri ci siamo incontrati tra associazioni di cittadini, per parlare insieme di partecipazione dal basso nel recupero della città di Roma. Un urbanista – con anni di ricerche sul campo a Tor Bella Monica e in altre zone critiche della capitale – ha spiegato i problemi, ma anche le risorse, delle periferie, citando recuperi di intere aree, spazi comuni e parchi, che la politica non era riuscita a realizzare.
Perché invece ai cittadini l’impresa è riuscita? Lo ha spiegato Marianella Sclavi, un’esperta di “ascolto politico”.

“Quando si parla di partecipazione, i politici pensano che basti mettere un po’ di gente in uno stanzone, farla sfogare e poi fare quello che si era già deciso, facendo finta che sia il risultato di una discussione. Non è così. Occorre molto lavoro e una specifica professionalità per creare la “vera” partecipazione. Faccio un esempio. A Milano, prima di costruire degli edifici popolari, le associazioni dei futuri proprietari hanno deciso di conoscersi ed è nato un clima di fiducia, che ha favorito la convivenza e la collaborazione delle persone, una volta diventate inquilini dei nuovi edifici. Un po’ come è successo nel recupero del Bronx di New York, che ho seguito da giovane ricercatrice negli anni del riscatto delle aree povere della Grande Mela.
“Certo, questo, come altri processi di partecipazione non possono essere improvvisati da politici ancora legati alle dinamiche dei favori; hanno bisogno di “facilitatori” terzi, avvertiti come arbitri autorevoli, disinteressati e quindi credibili. Che trasformino le posizioni conflittuali in contributi convergenti. Così che ognuno  veda nella soluzione finale una parte della propria proposta e collabori alla realizzazione del tutto, di cui si sente co-progettista. Un atteggiamento molto difficile da noi, perché dalla politica vengono esempi opposti. Intransigenza e contrapposizione frontale spacciata per purezza, negazione dell’ascolto come delegittimazione dell’interlocutore (quando l’avversario parla, si ostenta lettura del giornale o degli sms) e demonizzazione del compromesso come cedimento.
Nella conversazioni entrano  testimonianze di altri volontari civili. Di insegnanti, che appena arrivati nella scuola di frontiera, hanno chiesto ai genitori dei loro alunni di fare una “visita guidata” nel quartiere, per capire dove e come vivevano i loro alunni, a quali pressioni ambientali erano esposti. Così, intervento dopo intervento, emerge  la condivisione che sempre di più la moderna politica nei territori deve uscire dalle stanze e camminare nei quartieri. E’ l’amministratore che deve andare dal cittadino, a vedere il problema, a toccare con lo sguardo la realtà che deve amministrare, così da guadagnarsi sul campo la credibilità per mobilitare la cittadinanza attiva in un patto di recupero, dove ognuno faccia la propria parte con serietà e servizio. E fiducia reciproca.
Forse è qui la chiave per ricostruire la partecipazione vera, che i partiti hanno contraffatto, solo per camuffare la speculazione del consenso.
Partire dalla responsabilità nei progetti comuni, per ritornare a vivere i valori.
Partire dall’impegno per la dignità condivisa, dopo il fallimento delle ideologie delle parole.

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