Argentina, anti-peronismo al potere

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Dopo aver sviscerato il disastro che sta sconvolgendo l’eco-sistema brasiliano,  America Latina, catastro#6ED0EA esaminiamo ora il contesto in cui è maturata l’elezione del nuovo presidente argentino, Mauricio Macrì, di origine italiana.

Serrato testa-testa tra il vincitore, e il candidato kirchnerista Daniel Scioli, che ha visto prevalere di misura Macri (51,40% contro 48,60%) il 22 novembre. Il termine “kirchnerismo” è una versione del peronismo, inventata dai coniugi Néstor e Cristina Kirchner, presidenti argentini in successione, Néstor nel periodo 2003-2007 e Cristina dal 2007 al 2015. Era dal 1989 che il post-peronismo, e suoi derivati, detenevano il potere quaggiù. Ripercorrendo la storia geo-politica americana, il movimento che mutua il nome dai suoi fondatori, Juan Domingo Peròn e la consorte Evita, noto anche come giustizialismo, sintetizzò, in un mosaico controverso, i fermenti rivoluzionari mondiali, iniziati nella terza decade del 900’.

Prese piede in Argentina, dopo il declino del latifondo e l’egemonia anglo-statunitense. Un cocktail di nazionalismo, socialismo, e corporativismo fascista (quest’ultimo, come alternativa a capitalismo e comunismo) filtrato da una personale interpretazione di Peron, dai connotati populisti, che sancì tra l’altro il diritto di sciopero nella Costituzione del Paese.

Forte di un consenso incontrastato, Peron governò dal 1946 al 1955, per poi subire un rovesciamento, e un ritorno nel 1973, dopo un lungo periodo di resistenza clandestina. Fino alla sua morte nel 1974. La feroce dittatura del generale Videla nel 1976, insanguinò il Paese, provocando gli eccidi noti con il termine desaparecidos; circa 30.000 oppositori politici scomparsi, trucidati in una sorta di lupara bianca. I militari dominarono fino al 1981, e dopo una parentesi di 6 anni (1983-1989) con il governo del radicale Alfonsìn, ci fu l’avvento di Carlos Menem, che diede al peronismo un’impronta nettamente liberista, destatalizzando la struttura economica; un andazzo che fu fatale al Paese, decretando nel 2001 il suo fallimento e una catastrofe finanziaria senza precedenti. Una tragedia che un anno fa, il kirchnerismo di Cristina ha rischiato di replicare “a sinistra” sotto gli assalti famelici dei vulture funds, gli hedge funds a garanzia del debito pubblico argentino, emessi dalle finanziarie USA nei confronti dello Stato sud-americano.

Il ritardo dei pagamenti, causò un declassamento del rating nazionale alla categoria CCC, e un’inflazione che schizzò al 30%, seconda in America Latina a quella venezuelana, intorno al 60%. Solo il decadimento della clausola del rito abbreviato, che avrebbe decretato l’insolvibilità governativa, salvò il Paese da un nuovo default.
La popolarità della presidente scese sotto i minimi storici, consentendo all’opposizione di riprendere le redini.

La vittoria di Macrì a Cordoba (oltre il 75%) ha trascinato al successo nazionale Cambiemos (la coalizione con a capo il nuovo presidente) pur perdendo con scarto minimo il municipio di Buenos Aires, e parecchi comuni del Nord rurale, di tradizione peronista; i giochi erano fatti. Ex presidente di Boca Juniors, la squadra di calcio più famosa, e noto imprenditore, ha già calato le prime mosse sullo scacchiere regionale e internazionale.

Stati Uniti: aperture all’America di Obama, ben sapendo che il leader democratico è alla fine del suo mandato, e che un eventuale ripristino repubblicano, con la possibile vittoria del miliardario Donald Trump, favorirebbe il nulla-osta alle privatizzazioni, da parte delle corporations statunitensi in suolo argentino.

Nei suoi rapporti con gli altri Stati del Mercosur (il mercato comune sud-americano) questi i risultati ottenuti:

Venezuela: la condanna del regime di Maduro, adducendo come pretesto le violazioni democratiche del presidente chavista.

Ecuador & Uruguay: appoggio de l’opposizione di centro-destra, la quale, soprattutto in Ecuador, è sul sentiero di guerra contro il presidente Correa, alleato di Maduro, Castro e Morales, uniti dal trattato dell’Alba (Alìanza Bolivariana). E la stampa dà man forte.

Morales, presidente della Bolivia, mantiene il suo appoggio a Maduro, contro le intromissioni statunitensi, sconfessando indirettamente il nuovo eletto.

Il quale però ha incassato i consensi dei governi liberisti di Paraguay, Messico e Colombia. Ciò mette in minoranza gli stati bolivariani.

Brasile: Macri visiterà per primo il colosso dell’America Latina; la traballante amministrazione di Dilma Rousseff, dopo la vittoria di Pirro dello scorso anno alle presidenziali, è sottoposta a continue contestazioni interne, sia per via della recessione, che degli scandali che hanno infangato il suo partito.

L’azionista occulto di riferimento per il capo di Cambiemos in terra brasileira, è Aécio Neves, social-democratico (una sigla parecchio “a destra” in Brasile) e leader carismatico dell’opposizione, che ha sfiorato la vittoria contro Dilma. Altro privatista accanito, editorialista di uno dei fogli brasiliani più potenti (Folha S.Paulo) è il più accreditato a scalzare dal trono la Rousseff.

Conclusioni:

Anche se con una maggioranza risicata, l’Argentina ha comunque scelto il nuovo corso. La crisi finanziaria scorsa, ha spaventato il ceto medio e messo sotto accusa l’amministrazione de la ex premier, in modo tale da compromettere l’elezione del nuovo candidato kirchnerista. Macrì ha fatto promesse importanti, riguardo lotta alla povertà e la stabilità economica. C’è solo da sperare che non facciano la fine di quelle del suo illustre predecessore in terra italica, appassionato di calcio come lui.


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