Per il ministro Pinotti è un paese “amico”, paga bene. Armi a gogo’ per l’Arabia Saudita

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Non dobbiamo fare l’errore di non comprendere che l’Isis è sì il nemico, ma altrettanto lo è chi l’Isis lo finanzia. E’ così, non si può che essere d’accordo con il ministro della Difesa Roberta Pinotti, che questo ha voluto ricordare a Santa Venerina a margine della cerimonia per la premiazione internazionale di giornalismo Maria Grazia Cutuli (l’inviata del “Corriere della Sera” uccisa con altri tre colleghi in un agguato in Afghanistan il 19 novembre del 2001).
Poi il ministro ammonisce a non far diventare gli Stati che sono nostri alleati nella battaglia contro l’Isis, i nemici. Perché questo richiamo ai paesi “alleati” che non dobbiamo trasformare in “nemici”? Perché un giornalista chiede un commento alla notizia – documentata – che dalla Sardegna parte un carico di mille ordigni Nk83 diretti all’Arabia Saudita. “Il Kuwait, come l’Arabia Saudita”, dice Pinotti, “ha avuto attentati da parte dell’Isis. E’ vero che sono partiti da questi Stati canali di finanziamento da associazioni private che si nascondevano sotto un’idea caritatevole di raccolta fondi, ma fare un nemico di questo Stato, colpito e nostro alleato contro l’Isis,  un errore grave”.

Errore grave… Forse, proprio di questi tempi, su questa cosa delle armi, del complesso militare-industriale, occorre prestare un po’ di attenzione; più di quanta se ne sia finora prestata. Cominciamo dai dati forniti dal SIPRI di Stoccolma, specializzato nella ricerca sul commercio di armamenti e spese per la Difesa. Il primo cliente delle armi italiane sono gli Emirati Arabi Uniti (Eau), con il 9 per cento del totale delle spedizioni, a pari merito con l’India e un piccolo passo avanti rispetto alla Turchia. Gli Emirati sono uno dei maggiori acquirenti di armi (nel 2010-2014) di tutto il globo.
Nei giorni scorsi l’Amministratore Delegato di Finmeccanica ha rilasciato dichiarazioni che hanno anticipato quelle di Pinotti: “Fornire armamenti a paesi come Arabia Saudita e Qatar che sono considerati controversi? Sono paesi che sono legittimati dagli Usa ed entrano a far parte del fronte Occidentale in questa vicenda”.

Moretti ha ragione: c’e’ una legittimazione USA, oggi e da sempre.  I sauditi sono tra i migliori «clienti» del commercio di armi: nel 2014 hanno speso il 17 per cento del bilancio (80,8 miliardi di dollari) a beneficio del ministero della difesa. Il tutto per una buona causa, a fin di bene; come dicono i circoli militari di Washington: “Fornendo questi articoli per la difesa gli Usa sostengono le missioni di difesa dell’Arabia e promuovono la stabilità nella regione”.

Aggiorniamo il vecchio vis pacem para bellum. Oggi vale il “sostenere le capacità militari saudite scoraggia attori ostili, aumenta l’operabilità militare tra Usa e Arabia e ha un impatto positivo sulla stabilità dell’economia globale”.
Torniamo a Pinotti. Rete Italiana per il Disarmo, Amnesty International Italia e l’Osservatorio Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere di Brescia chiedono un incontro urgente con il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per chiarire la posizione del Governo italiano sulle esportazioni di armamenti: “E’ inaccettabile che il ministro della Difesa sostenga che sono regolari le fornitura di bombe e materiali militari italiani all’Arabia Saudita impegnata in un conflitto in Yemen senza alcun mandato da parte delle Nazioni Unite”.
Ricordano inoltre che la legge n. 185 del 1990 “vieta espressamente le esportazioni di tutti i materiali militari e loro componenti verso i Paesi in stato di conflitto armato e in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite… l’Arabia Saudita lo scorso 28 marzo ha formalmente annunciato alle Nazioni Unite il suo intervento militare in Yemen, ma non ha mai ottenuto dall’Onu alcuna autorizzazione né legittimazione. Il governo dovrebbe perciò sospendere immediatamente l’invio di materiali militari ai sauditi e rispondere in parlamento alle numerose interrogazioni che da mesi sono depositate”.

Un conflitto, quello contro lo Yemen, che ha già causato più di 5.700 morti di cui almeno 830 tra donne e bambini e 20mila feriti,  oltre un milione gli sfollati. Bombardamenti mai autorizzati dalle Nazioni Unite, e gravi, reiterate violazioni dei diritti umani: un’altra condizione che – secondo la legge n. 185/1990 – dovrebbe prevenire le esportazioni di materiali militari e di armi alle forze armate saudite.

E per citare l’ultimo caso: un tribunale saudita ha appena condannato a morte il poeta palestinese Ashraf Fayadh, colpevole di aver rinunciato alla sua religione. Lo denuncia e’ di Human Rights Watch, che afferma di aver preso visione della sentenza: il reato contestato dall’accusa, vale a dire aver “dubitato dell’esistenza di Dio”.

Fayadh e’ stato arrestato dalla polizia religiosa nel 2013, un suo lettore lo ha accusato di incitamento a rinunciare all’Islam, a causa del contenuto di una sua raccolta di poesie del 2008. Rilasciato dopo pochi giorni, e’ stato arrestato nuovamente a gennaio 2014. Una prima sentenza lo ha condannato a quattro anni di prigione e 800 frustate, ma il giudice d’appello ha deciso di condannarlo a morte.
Arabia Saudita, paese “alleato”. Facciamo pure, quel che si fa. Ma almeno si stia zitti. La ragione di Stato, e di quattrini, passi; ma almeno con una briciola di pudore.


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