Nel mondo più di 1 donna su 3 vittima di violenza. Una Giornata per riflettere

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Il 35% delle donne ha subito una violenza domestica o sessuale nel corso della propria vita e nella maggior parte dei casi da un partner, da un ex o da un familiare. Mattarella: “Educare alla vita sentimentale. Non c’è rapporto che possa essere costruito sulle basi della sopraffazione”

ROMA – A livello mondiale, il 35% delle donne ha subito una violenza domestica o sessuale nel corso della propria vita e nella maggior parte dei casi, da un partner, da un ex o da un familiare. Il dato è dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), reso noto oggi in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. E differentemente da quanto si possa immaginare, dalle indagini sulla popolazione emerge una prevalenza di fenomeni di violenza domestica e sessuale in contesti non bellici.

Dati pesanti, gravi.
Ogni 3 giorni, in Italia, una donna viene uccisa dal partner, dall’ex o da un familiare. Sono quasi 7 milioni le donne tra i 16 e i 70 anni – 1 donna su 3 – ad aver subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale. E in oltre il 60% dei casi, sono i partner attuali o ex a commettere le violenze più gravi. Solo nel 2014, nel nostro Paese, sono ben 115 le donne vittime di femminicidio uccise dal marito, dal fidanzato o da un ex (ma secondo il rapporto Eures i femminicidi nel 2014 sono stati 152, -15% rispetto al 2013; il 77% tra le mura domestiche). Nella maggior parte dei casi, in aumento dal 2006 passando dal 60,3% al 65,2% del 2014, i figli hanno assistito ad episodi di violenza sulla propria madre. L’Oms considera la violenza contro le donne una delle prime cause di morte o invalidità permanente delle donne. Il 42% ha subìto violenze fisiche o sessuali da uomini con cui avevano avuto una relazione intima e ha riportato gravi danni alla salute. E ancora, il 38% degli omicidi di donne nel mondo– 1 su 4 – sono commessi da un partner. “Quando una donna subisce una forma di violenza le ripercussioni sulla salute con cui dovrà fare i conti negli anni successivi sono molteplici perché non si corrono rischi solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello della salute mentale oltre ad aumentare drasticamente il rischio di contrarre infezioni come l’Hiv – dichiara Flavia Bustreo vice direttore generale, Salute della Famiglia, delle Donne e dei Bambini presso l’Oms -. Sono tanti i paesi del mondo dalla Tanzania, al Bangladesh fino al Perù, in cui il primo rapporto sessuale di una donna avviene forzatamente. Uno dei fattori su cui dobbiamo fare leva in tutto il mondo, Italia compresa, è l’educazione già in tenera età e far sì che i servizi sanitari siano equipaggiati per rispondere alla violenza con cure socio-sanitarie adeguate”.

Il grido delle istituzioni. “Contrastare la violenza sulle donne è un compito essenziale di ogni società che si proponga la piena tutela dei diritti fondamentali della persona”. Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della Giornata internazionale. Per il capo dello Stato, “l’educazione al rispetto reciproco, nei rapporti personali e nelle relazioni sociali, è alla base del nostro vivere civile. La violenza sulle donne è un fenomeno sociale ingiustificabile che attecchisce ancora in troppe realtà, private e collettive e nessun pretesto può giustificarla. Si tratta di comportamenti che vanno combattuti fermamente. Per estirparli, occorre agire sulla prevenzione, attraverso l’educazione dei giovani al rifiuto della violenza nei rapporti affettivi: amore e violenza sono tra loro incompatibili e non c’è rapporto che possa essere costruito sulle basi della sopraffazione. L’educazione ad una vita sentimentale caratterizzata dal rispetto per l’altro inizia dall’infanzia e dall’adolescenza ed è soprattutto alle nuove generazioni che deve essere rivolta l’attività posta in essere dalle istituzioni e dalla società civile”.
Per la presidente della Camera, Laura Boldrini, non di deve abbassare la guardia: “Mettere la crocetta sulla casella ‘azioni di contrasto alla violenza contro le donne’, come se non dovessimo più occuparcene. Come se la battaglia fosse vinta”. E ha aggiunto: “Due mesi fa, il Governo ha approvato il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che prevede una serie di interventi articolati e sinergici per prevenire, contrastare, reprimere ed effettuare azioni di sensibilizzazione sul tema. Sono stati stanziati i fondi per queste attività, anche se occorrerebbe fare uno sforzo ulteriore, soprattutto nel campo della prevenzione, fosse anche solo perché i costi della violenza di genere sono enormi, sebbene difficilmente calcolabili”.

I centri antiviolenza. Silvana Mordeglia, presidente del Consiglio nazionale degli Assistenti sociali, tra le varie cose ricorda anche che “agire subito: alcuni aspetti, come ad esempio, la violenza assistita producono doppi tragici effetti alimentando la trasmissione di modelli comportamentali violenti tra generazioni. Non è un caso, infatti, che le donne che hanno assistito alla violenza sulle proprie madri tendono a subire passivamente e a giustificare quella nei propri confronti. Noi ci auguriamo che vengano non solo mantenuti ma decisamente potenziati i Centri antiviolenza e dei servizi alla persona che svolgono fondamentali funzioni di assistenza sociale, legale e psicologica oltre che di accompagnamento al lavoro, che permette alle vittime di violenza di conquistare autonomia”.

Ma a proposito di centri antiviolenza, è di ieri la notizia della rivolta dei centri antiviolenza donna contro la Regione Lombardia. 16 centri sui 25 esistenti, criticano infatti l’assessore regionale Giulio Gallera per la gestione dei fondi e bocciano il Piano antiviolenza, votato all’unanimità dal Consiglio regionale il 10 novembre scorso. Il tutto mentre in Emilia Romagna cresce il numero delle donne che chiede aiuto: sono 3.301 le donne seguite dai 13 centri antiviolenza del Coordinamento regionale, di cui 2.796 si sono rivolte a uno dei centri del territorio tra il primo gennaio e il 31 dicembre 2014 (erano 2.403 nel 2013), mentre 505 continuano i percorsi iniziati negli anni precedenti.
In Toscana, infine, sono oltre 2.500 le nuove utenti che ogni anno si rivolgono ai centri antiviolenza. Da luglio 2009 a giugno 2015, le donne che complessivamente si sono rivolte ai centri toscani sono state oltre 13 mila.

Le associazioni. Save the Children si concentra ovviamente sulla condizione dei minori, ricordando che “i due terzi dei figli delle donne che subiscono soprusi hanno assistito a questi episodi e in 1 caso su 4 ne sono stati direttamente coinvolti. Nel 2014 sono stati 50 mila i casi dei bambini diventati essi stessi oggetto di gravi minacce da parte di partner aggressivi e violenti, come forma di ritorsione contro le madri”. E l’Unicef ricorda che quasi un quarto delle bambine tra i 15 e i 19 anni denuncia di aver subito violenze fisiche sin dall’età di 15 anni. “Una mancata piena applicazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza produce spesso condizioni di profonda vulnerabilità per centinaia di bambine che in questo modo hanno molte più probabilità di subire diverse forme di violenza e vedere così compromesso il proprio futuro”.
Le donne delle Acli, in occasione del 25 novembre, indossano un braccialetto realizzato dalle sartorie degli istituti di pena italiani con lo slogan “Stop alla violenza sulle donne” per sentirsi vicine a tutte quelle donne che sono vittime di violenza e soprusi sin dentro le stesse mura di casa.
Con una nota, l’Ipavsi ricorda che “sono proprio gli infermieri che si trovano costantemente e quotidianamente a confronto con le situazioni di disagio”. E ricorda che “assistere una donna vittima di violenza vuol dire riconoscere prima di tutto l’autodeterminazione che le è stata negata, riconoscerle il bisogno di giustizia, riconoscerla nella sua specificità. In questo senso è indispensabile lo ‘sguardo infermieristico’, che resiste alla tentazione di semplificare tutto con la razionalità tecnica e affronta il disagio esistenziale di situazioni inquietanti che mettono in discussione tutti i parametri di umanità, di fiducia e intimità. Il sistema sanitario gioca un ruolo centrale nella prevenzione della violenza sulle donne attraverso un approccio di sanità pubblica, identificando precocemente gli abusi e garantendo alle vittime le cure e i trattamenti appropriati”.

Da redattoresociale


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