Mauritania, il movimento antischiavista dietro le sbarre

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È passato ormai un anno dall’arresto del mio amico Biram Dah Abeid (nella foto) e di Brahim Bilal Ramadane, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Iniziativa per la rinascita del movimento antischiavista in Mauritania. Ufficialmente abolita nel 1981, riconosciuta come reato penale nel 2007 e addirittura definita crimine contro l’umanità dal parlamento nell’agosto di quest’anno, la schiavitù in Mauritania resta una pratica comune.

Negli ultimi cinque anni, la procura generale ha ricevuto denunce relative ad almeno 32 casi di schiavitù. Le indagini vanno volutamente a rilento e i promotori delle campagne antischiaviste finiscono in carcere. Biram Dah Abeid era stato già imprigionato nel 2010 e nel 2012. Tornato in libertà, aveva ripreso la sua campagna – per la quale nel 2013 aveva anche ottenuto un riconoscimento da parte delle Nazioni Unite – e si era deciso a presentarsi come candidato alle elezioni presidenziali.

Arrestato l’11 novembre 2014, il 15 gennaio di quest’anno Birham e Brahim sono stati condannati a due anni di carcere per manifestazione non autorizzata e appartenenza a un’organizzazione non riconosciuta. Biram è in cattive condizioni di salute. Ha un’ernia del disco, dolori addominali e soffre d’ipertensione. Il 25 agosto i medici dell’ospedale di Aleg lo hanno visitato e hanno raccomandato che venisse trasferito d’urgenza all’ospedale della capitale Nouakchott per ulteriori analisi e accertamenti. Le autorità mauritane non hanno ancora concesso l’autorizzazione al trasferimento.

Diciassette organizzazioni internazionali e africane per i diritti umani hanno chiesto al governo mauritano di liberare immediatamente Biram e Brahim.


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