Il “doppio scatto” di Silvio Perrella

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Ho avuto la fortuna di poter camminare insieme al critico letterario Silvio Perrella per ben due volte: la prima in auto da Napoli a Ottaviano, il paese dello scrittore Bruno Arpaia, la seconda tra le strade del rione Sanità a Napoli, proprio tra quei vicoli dove ebbe i natali il Principe della risata Antonio De Curtis in arte Totò. In entrambe le occasioni ho potuto osservare lo sguardo “del forestiero”, Perrella è palermitano ma vive e lavora a Napoli da tantissimi anni, penetrare, entusiasmandosi, con un’insolita attenzione nei particolari dell’architettura di un territorio composto da panorami, scorci urbani e artistici veramente unici. Tra le strade del rione Sanità, “il luogo napoletano con la più grande potenza espressiva” secondo il critico letterario, Perrella fa costantemente ricorso alla sua macchinetta fotografica per “rapire” scorci e suggestioni architettoniche ed umane. Posso affermare, dunque, di aver assistito a un dietro le quinte di come nasce la sua rubrica “Doppio Scatto” ospitata, ogni domenica,  dal quotidiano Il Mattino che adesso è diventata una pubblicazione, “Doppio Scatto”, Bompiani Editore pag. 490 euro 19,00.

Vale la pena sottolinearlo sin da subito. Questo nuovo lavoro editoriale di Perrella dev’essere presente nella biblioteca di chi pretende di conoscere Napoli e di disquisire su di essa. La prima impressione che si potrebbe trarre da una lettura veloce, è che si possa trattare di un libro guida della metropoli. Sbagliato. Il testo di Perrella che mette insieme scatti fotografici e brevi scritti credo possa offrirci uno sguardo insolito, diverso, profondo su Napoli ma, allo stesso tempo, rappresenta una finestra aperta sul mondo, da quello interiore a quello reale, e un’opportunità di riflessione e confronto che non possiamo più rimandare.  La penna di Perrella, che spesso si discosta addirittura dallo scatto fotografico, racconta di una città composta da “un rotolìo di edifici, cupole e palazzi reali che scivolano verso il mare”, che “sognando, suggerisce ciò che non possiede” di “lampare che rischiarano le acque di un mare mentale”.

Ma la sapienza di Perrella, la sua umile grandezza ci accompagnano in un confronto suggestivo con “quell’alfabeto di pietre”, in sostanza “un alfabeto architettonico che travalica la mera funzionalità, e si mostra agli occhi di chi vuol intendere come un linguaggio da interpretare”. Un lavoro che ci spinge a un’attenta riflessione sui tempi, sull’esistenza dove una piazza cittadina che si svuota, a maggior ragione oggi, diventa una metafora interpretativa di un mondo dove si denota una incapacità governativa diffusa. Ecco che le funicolari, le scale mobili che Perrella invoca per mettere in connessione le parti smembrate della Città, potrebbero o dovrebbero essere costruite per far incontrare parti di un mondo capace di conoscersi, anzi di scoprirsi solo in seguito a fatti di terrore. Napoli dunque, ancora una volta, e grazie all’interpretazione di un grande intellettuale diventa punto di arrivo e partenza per parlare al mondo intero. Saranno le immagini che sopraggiungono da oltralpe, probabilmente, ad offrire uno spunto in più sul libro di Perrella? Forse. Ma la visione che l’autore ci offre dei linguaggi urbani presenti in una metropoli come Napoli sono molteplici. “Gli spazi vuoti che la politica non sa riempire” non sono solo quelli di un luogo fisico. Questo punto andrebbe sicuramente affrontato e approfondito.  Un libro di una ricchezza sopraffina, che fa emergere con successo quello che un intervento su un quotidiano non permette di fissare per tante ragioni. Così, nella città di Anna Maria Ortese, “che il mare non bagna”, Perrella pone il suo sguardo più volte proprio verso questa immensa distesa salata: “non c’è ricchezza maggiore, per una , Città del possesso del suo mare. (Perché) tra le sue onde rabbiose è nascosto l’alfabeto del futuro”.


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