Un singolare processo di mafia

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Vale la pena ricordare l’udienza ultima del progetto all’ex senatore Calogero Mannino per il reato previsto negli articoli 338 e 339 del codice penale in vigore che disciplinano la violenza e la minaccia a un corpo politico dello Stato.  La sentenza è prevista per il prossimo 4 novembre 2015. Il giudice dell’udienza preliminare Marina Petruzzella ha accolto la richiesta dei pubblici ministeri di acquisizione della sentenza Scalone necessaria per la ricostruzione delle vicende sulla Falange armata.

Per quanto riguarda i difensori è stata acquisita con l’accordo delle parti la nota della Divisione Investigativa Antimafia a firma Micalizio con riferimento alla Falange Armata, la sigla terroristica spuntata durante la crisi del ’92-94 successiva  alle due  stragi di Palermo e alle successive del ’93 a Roma, Firenze e Milano, cioè nel resto del Paese.  Le richieste da parte della difesa sono state accolte soltanto in parte. Il pubblico ministero Vittorio Teresi ha preso la parola anticipando che, da parte dell’accusa, non ci saranno variazioni rispetto a quanto è già stato discusso in precedenza: “Mannino – aveva già detto il rappresentante del l’accusa – si inserisce come ispiratore di atteggiamento  nella violenza e minaccia Cosa Nostra  per deviare le attività nei pubblici poteri.

Riteniamo di aver provato violenza e minaccia di Cosa Nostra per deviare le attività nei pubblici poteri. Riteniamo di aver provato con la lettura di atti complessi di questo processo e sono certo che non ci sono dubbi sulla piena e comprovata colpevolezza  dell’imputato per cui chiediamo che venga affermata una condanna di anni 13 e 6 mesi di reclusione che ridotta diventa anni 9 di reclusione e pene accessorie previste dalla legge.  Secondo i pubblici ministeri non ci sarebbero dubbi sulla comprovata responsabilità dell’imputato: “Mannino sarebbe “istigatore e ispiratore principale del contatto tra Mori e De Donno e Cosa Nostra perché si riuscisse ad evitare in qualche modo che la mafia lo ammazzasse.”

Ma questo non è stato ” l’unico fine di Mannino”. Secondo Teresi l’ex ministro ” rafforza con questo la determinazione di Mori, De Donno e Subranni a parlare con Riina.” La lunga autodifesa di Mannino che si dilunga sul “Corvo 1” e sul “Corvo 2”- secondo i rappresentanti dell’accusa-non è in grado mettere in discussione la tesi sul ruolo esercitato dall’ex ministro di ispiratore “di atteggiamento nella violenza di Cosa Nostra per deviare l’azione delle pubbliche istituzioni” e di qui l’ipotesi di decisione finale prevista dal dottor Teresi.  A una simile decisione si arriverebbe dopo più di vent’anni dall’accaduto e dopo che altri politici sono stati investiti di pesanti responsabilità per quello che è accaduto nel tragico biennio del ’92-94 dopo l’attacco frontale che Cosa Nostra tentò di portare ai massimi vertici del potere politico nel nostro Paese.


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